Perché Sanremo è un sequestro di persona?

Se continua così, tanto vale dare la linea direttamente a Unomattina”: è una battuta che circola spesso tra gli addetti ai lavori di Sanremo 2024, fin da quando Amadeus ha confermato in conferenza stampa che nessuna delle serate finirà mai prima delle due di notte (lo storico programma mattutino di Rai1 parte alle 6.10). La scaletta di ieri sera, circolata poco prima della diretta, dava la chiusura ufficiale del programma addirittura alle 2.20, con il passaggio di testimone alla striscia post-Festival di Fiorello: fortunatamente si trattava di un’approssimazione per eccesso e il programma è poi finito alle 2.00 grazie alla capacità del conduttore di stringere i tempi senza perdersi in troppe chiacchiere. Ma la domanda resta: perché più si va avanti negli anni e più il sipario dell’Ariston cala a un’ora ingrata? Non c’è una sola causa, ma molteplici: vediamone alcune.

L’Auditel

L’Auditel non è un valore assoluto: si esprime in percentuale, con il famoso share. Quando affermiamo che il 50% degli italiani era sintonizzato su un dato programma, quindi, non stiamo dicendo che circa 30 milioni di italiani erano davanti al televisore, ma che la metà delle persone che avevano il televisore acceso in quel momento lo stavano guardando. E come ben sappiamo, le persone sintonizzate dopo la mezzanotte in un giorno infrasettimanale sono molte meno. Prendiamo ad esempio gli ascolti della prima serata dell’anno scorso, con un trionfale 62,4% di share, record imbattuto dal lontano 1995: per calcolare questo dato è stata fatta una media tra la prima parte (fino alle 23.44, 14.170.000 spettatori con uno share del 61,7%) e la seconda parte (dalle 23.48 all’ 1.40, 6.296.000 spettatori con uno share del 64,7%). Insomma, allungare le serate a dismisura permette di alzare lo share anche se il numero di spettatori assoluti diminuisce.

La pubblicità

Più l’Auditel è appetibile, più gli investimenti pubblicitari crescono (quest’anno gli introiti dichiarati dalla Rai sono stati più di 60 milioni): e più ci sono investitori disposti a pagare profumatamente uno slot pubblicitario, più è necessario crearne. Nella serata di ieri gli stacchi pubblicitari – non brevissimi, peraltro – sono stati ben nove, senza contare le telepromozioni. E ovviamente anche questo finisce per influire sulla durata totale del Festival, allungando il brodo.

Il numero delle canzoni

Ormai fatichiamo a ricordare l’era pre-Amadeus o addirittura quella pre-Baglioni, ma se guardiamo al festival del 2017 (condotto da Carlo Conti) scopriremo che i big erano solo 22; dieci anni fa, con Fabio Fazio, erano addirittura 14. Certo, c’erano anche i giovani, o le cosiddette “Nuove Proposte”, ma non si esibivano tutte le sere. Quest’anno siamo arrivati a 30, in una categoria unica; e per ascoltarli tutti ci vuole tempo. Questo moltiplicarsi dei cantanti in gara è un effetto del sempre maggiore successo delle canzoni di Sanremo. Se infatti fino a qualche anno fa partecipare al Festival era diventato discograficamente abbastanza ininfluente – non aumentava più di quel tanto le vendite dei dischi e la popolarità dei concorrenti – oggi, grazie all’accortezza di scegliere un cast più giovane, smart e in linea con i gusti reali del Paese, Sanremo è un biglietto quasi assicurato per la celebrità. E le case discografiche, che non hanno alcuna intenzione di lasciarselo scappare, inondano la Rai di proposte e insistono perché quanti più nomi possibile abbiano l’opportunità di tentare la sorte.

La scomparsa del (classico) Dopofestival

Un tempo, dopo la canonica serata sanremese, chi voleva stare sveglio proseguiva la visione con il Dopofestival: nonostante la fascia oraria non proprio frequentatissima, era un programma piuttosto seguito dai veri cultori di Sanremo. Negli ultimi anni, dopo che era stato prima spostato in via sperimentale su RaiPlay e poi abolito del tutto (o meglio, il tradizionale e interminabile talk show con giornalisti e cantanti è stato sostituito da Viva Rai2… A Sanremo!, una veloce striscia di varietà condotta da Fiorello), i vertici di viale Mazzini si sono probabilmente detti che era inutile non utilizzare quello spazio. E così, un pezzettino per volta, il Festival vero e proprio lo ha inglobato.

Per evitare potenziali contenuti scomodi

Un Festival così lungo ha un altro innegabile vantaggio: permette di “nascondere” eventuali contenuti scomodi a tarda notte, quando meno spettatori sono sintonizzati. Monologhi destinati a far discutere, temi controversi, performance potenzialmente rischiose, possono così trovare spazio al riparo da orecchie troppo giovani o innocenti, ivi comprese quelle dei politici, che tendono a turbarsi molto di più se vanno in onda in prima serata. Vedi il caso dell’esibizione di Dargen D’Amico, da scaletta previsto all’1.18 di ieri sera: dato il tema della canzone Onda alta (i migranti, gli sbarchi e i naufragi), e dato il noto impegno sociale dell’artista, era prevedibile che avrebbe fatto qualche dichiarazione non particolarmente gradita al governo. E infatti, puntualissimo, ha invocato un cessate il fuoco a Gaza; l’unico vero atto politico andato in scena ieri sera su Rai1.

Per testare la fedeltà delle truppe

E infine, diciamoci la verità: se il Festival va in onda fino alle due di notte, è anche colpa nostra. Perché se siamo ancora svegli a guardarlo, vuol dire che Amadeus ha un fedele esercito di telespettatori pronto a seguirlo ovunque e comunque, e a sacrificare qualche ora di sonno in nome di uno show irripetibile. Perché, allora, dovrebbe chiudere prima? Chi è causa del suo mal pianga se stesso, come si suol dire. Possibilmente davanti a una tazza di caffè bollente la mattina dopo.

Fonte : Wired