Mangeremo spaghetti brevettati: cosa rischiamo con il grano che “non esiste”

La stragrande maggioranza di quello che mangiamo non esiste “in natura”, ma è il frutto di esperimenti, scambi tra contadini, adattamento sui terreni. Un contributo fondamentale alla pratica di “migliorare” semi e piante lo ha dato l’italiano Nazareno Strampelli, genetista e agronomo marchigiano vissuto a cavallo tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900. Il ricercatore produsse circa 800 diversi incroci di grano e 65 varietà diverse: tra le più note l’Ardito, Carlotta (in omaggio alla moglie/assistente), il Mentana e il senatore Cappelli, tornato in auge dalla fine degli anni ’90. Le sue ricerche migliorarono le rese e la resistenza alle malattie del frumento, contribuendo a rafforzare l’agricoltura italiana, ma non solo. Pur operando nel nazionalista Stato fascista, Strampelli fece approdare le sue “Sementi Elette” in Argentina, Messico, Brasile, Portogallo, fino in Cina. Nello stesso campo oggi una nuova “rivoluzione” si profila all’orizzonte, quella delle nuove tecniche genomiche (Ngt), grazie alle quali è possibile modificare il Dna delle piante con inedita precisione. C’è il rischio però di perdere in breve tempo la biodiversità accumulata in millenni di scambi di semi e sementi tra contadini.

Ngt contro Ogm: le differenze

La precedente generazione, quella degli organismi geneticamente modificati (Ogm), miscelava i Dna di piante diverse. Nel caso delle Ngt le modifiche avvengono all’interno delle caratteristiche già presenti in un determinato organismo. Abbiamo spiegato qui le differenze tra le due tecniche. La normativa proposta dalla Commissione europea verrà votata dagli eurodeputati il 7 febbraio a Strasburgo e sarà decisiva su tanti aspetti del futuro prossimo. L’esecutivo europeo chiede di semplificare le regole per le Ngt, sottraendole a quelle in vigore per gli Ogm, facilitando le procedure di autorizzazione ed equiparando le modifiche “naturali” a quelle che avvengono in laboratorio. Il dibattito è polarizzato: per alcuni si tratta di una “pillola avvelenata”, secondo altri di una “panacea” per l’agricoltura. Da feroce critica degli Ogm, l’Italia è diventata una delle principali promotrici delle Ngt, ribattezzandole col nome di tecniche di evoluzione assistita (Tea). 

Perché l’Italia sostiene le novità

A difendere a spada tratta l’utilizzo della biotecnologia sui semi troviamo il governo, le grandi organizzazioni agricole (Coldiretti, Confagricoltura e Cia), affiancate dagli scienziati del Crea e da Assosementi, la lobby delle industrie sementiere che a livello europeo opera tramite l’organizzazione Euroseeds. Le Ngt sono promosse come la svolta per combattere i cambiamenti climatici, i problemi di produttività e l’uso di pesticidi. Gli interessi principali del nostro Paese Today.it li ha illustrati qui. Queste tecniche di precisione, promettono i sostenitori, garantiranno piante più resistenti alla siccità e agli eventi climatici estremi, nonché più generose in termini di resa. Potremo avere pomodori più rossi e ricchi di vitamina D (come sta già sperimentando il Regno Unito) e grano che cresce all’altezza perfetta per le macchine agricole, magari con meno glutine. O si potrebbe avere una melanzana già della forma giusta per le esigenze delle industrie di trasformazione. Le possibilità sembrano vastissime, ma quali sono i rischi? Quali sono le modifiche di cui avrebbero davvero bisogno i nostri agricoltori?

I rischi dei nuovi prodotti

A metterci in guardia si è mossa da tempo una coalizione di organizzazioni, che va dal Wwf a Slow Food, passando per Terra! e l’Associazione rurale italiana. Chiedono all’Unione europea regole precise, garanzie sulle procedure di autorizzazione e tracciabilità tramite etichette chiare. “Le mutazioni genetiche fuori bersaglio sono all’ordine del giorno con queste biotecnologie, propagandate invece come precise e mirate”, scrive la coalizione in una nota. “I loro effetti sulle piante e sugli organismi viventi sono ancora largamente sconosciuti, ma vengono minimizzati da una ricerca che dipende ormai dalla vendita delle sue ‘innovazioni’ ai signori dei semi”, accusano le organizzazioni. Chiede cautela anche un gruppo di cuochi firmatari di una lettera indirizzata ai parlamentari europei. In questa materia, accusano, la scienza sarebbe al servizio dei “baroni del cibo”, cioè di giganti come Bayer-Monsanto, Basf e Syngenta, che finanziano e indirizzano le ricerche. Uno status a cui oggi aspira anche l’industria sementiera italiana.

Dopo pesticidi e semi Ogm, gli attori dell’agribusiness vogliono dominare anche questo nuovo mercato, grazie al quale avrebbero accesso a circa 550 milioni di consumatori nell’Unione Europea. Con la liberalizzazione proposta da Bruxelles e sponsorizzata da Roma potremmo ritrovarci nel piatto alimenti frutto di modifiche genetiche senza neppure saperlo. Nel mezzo di questo cambiamento epocale, ci sono milioni di agricoltori europei che nei primi anni 2000 hanno scelto di essere “liberi da Ogm” e che, tramite la deregolamentazione, rischiano di ritrovarsi campi contaminati dai pollini modificati geneticamente portati da agenti atmosferici o dagli insetti impollinatori. 

La minaccia dei nuovi brevetti  

Finora l’agribusiness e la destra avevano fatto pressione per deregolamentare le Ngt, come strumento in linea con gli obiettivi di riduzione dei pesticidi proposti dall’Unione europea. Adesso che sono venuti meno, il nodo vero rimane quello dei brevetti, un punto che la proposta dell’esecutivo Ue non affronta. Hanno sollevato timori in materia Austria, Germania e Polonia. Le multinazionali promettono che non applicheranno diritti di proprietà intellettuale per i primi anni di ricerca. Si tratta delle stesse aziende che trent’anni fa promettevano abbastanza cibo per sfamare il mondo grazie agli Ogm. La produzione alimentare è diventata invece più vulnerabile, concentrata in poche mani, con prezzi elevati e un diffuso malcontento tra gli agricoltori.

Cosa dovrebbe farci pensare che questa volta sarà diverso? Nell’Italia liberale, il genetista Strampelli riuscì a ottenere una legge innovativa, quella dello “scambio delle sementi”, che garantiva ai contadini la possibilità di scambiare a titolo gratuito le sementi di vecchie varietà con quelle sperimentali. Nonostante i suoi successi internazionali, lo scienziato marchigiano non volle sottoporre a brevetto le sementi frutto delle sue ibridazioni. A una ricchezza smisurata preferì una vita modesta e benefici di cui potessero godere gli agricoltori di tutto il mondo. La ricerca sulle Ngt non va fermata, ma servono regole chiare e trasparenti affinché non diventino un nuovo potente strumento nelle mani dei “signori del cibo”, per ingannare contadini e consumatori. 

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Fonte : Today