Perché l’Irlanda unita non è più solo un miraggio

Si respira aria di cambiamento in Irlanda del Nord. Dopo due anni di stallo politico, Belfast ha di nuovo un governo: e per la prima volta è un governo guidato dai repubblicani cattolici, che ora accarezzano la possibilità di organizzare un referendum sull’uscita dal Regno Unito per realizzare finalmente la riunificazione dell’Irlanda (Éire in gaelico), che sognano da oltre un secolo. 

Svolta storica

Come riporta il quotidiano irlandese Irish Times, due pesi massimi del Sinn Féin, il partito nazionalista socialdemocratico dell’Ulster che vuole l’indipendenza di Belfast da Londra e il ricongiungimento con Dublino, hanno dichiarato che la finestra d’opportunità per ottenere la tanto agognata unità irlandese si è aperta e un referendum è da attendersi “entro questo decennio”. 

Sono le parole che due donne, Mary Lou McDonald e Michelle O’Neill, rispettivamente presidente e vicepresidente dello Sinn Féin, hanno consegnato ai media nordirlandesi nella giornata di domenica 4 febbraio. Per la prima, la questione è “viva” e “la conversazione è in corso” per realizzare le “immense opportunità” offerte dalla riunificazione. Per la seconda, il risultato elettorale e la storica seduta dell’assemblea di Stormont (il parlamento monocamerale nazionale) del giorno precedente, che l’ha eletta prima ministra, sono avvenimenti che “parlano di cambiamento”. 

Stormont riprende i lavori

L’assemblea era stata bloccata in uno stallo politico dal maggio del 2022, quando il partito repubblicano, a lungo braccio politico dell’Irish republican army (Ira), aveva vinto le elezioni legislative per la prima volta nella storia dell’Irlanda del Nord, conquistando 29 deputati contro i 24 del partito unionista (Dup), che rappresenta i protestanti che vogliono rimanere nell’Unione con Londra (cioè appunto il Regno Unito). Finora non era mai successo che il primo ministro di Belfast fosse un nazionalista. 

Dagli accordi del Venerdì santo del 1998 (che avevano messo fine alla sanguinosa stagione dei Troubles, iniziata negli anni Sessanta), il potere a Stormont deve essere condiviso da repubblicani cattolici e unionisti protestanti (un partito esprime il premier e l’altro il vicepremier), ma dopo la Brexit questa pratica è stata messa in crisi fino da quando, dopo le elezioni di due anni fa, il Dup ha avviato un boicottaggio dei lavori dell’assemblea, impedendo così il suo funzionamento. 

Ora Stormont funziona di nuovo perché gli unionisti hanno ricevuto sufficienti garanzie da parte di Londra e di Bruxelles sul tema che stava loro più a cuore, cioè una revisione del protocollo per l’Irlanda del Nord nel quadro dei rapporti post-Brexit tra Ue e Regno Unito. Il ripristino della condivisione del governo è stata salutata come un “grande sollievo” da McDonald, la quale ha dichiarato di aver percepito “un grande senso di responsabilità” da parte dell’assemblea. E la repubblicana ha descritto la nomina della sua vice alla carica di prima ministra come “enormemente, storicamente significativa” dal momento che “lo Stato del Nord è stato specificamente progettato per garantire che una persona come Michelle O’Neill non avrebbe mai e poi mai ricoperto l’incarico di Primo Ministro…tale è il livello di cambiamento e di progresso che è passato”.

Riconciliazione nazionale?

A questo punto, la conversazione verso l’unità nazionale tra l’Ulster e l’Éire può cominciare, ha continuato la leader dello Sinn Féin, specificando che i preparativi per il voto popolare dovrebbero essere guidati da Dublino e dovrebbero portare i nordirlandesi alle urne entro questo “decennio di opportunità”. Secondo gli accordi del 1998, la questione dell’eventuale unificazione può essere decisa solo tramite consultazione referendaria, dove basterà una maggioranza semplice del 50% più uno. 

Il dialogo, secondo McDonald, rimarrà aperto e inclusivo. Nazionalisti e unionisti partono certo da posizioni opposte ma hanno ugualmente a cuore il bene dei cittadini, e si metteranno in moto per garantire che Belfast continui a offrire loro i servizi pubblici essenziali, dal sistema sanitario alle pensioni e gli alloggi. 

In un gesto simbolico di conciliazione, O’Neill ha dichiarato di essere “una prima ministra per tutti, cattolici, protestanti e dissenzienti”, riprendendo le parole pronunciate dal primo premier nordirlandese James Craig durante l’inaugurazione dei lavori dell’assemblea nel 1921, quando aveva ribadito di essere a guida di “un parlamento protestante e uno Stato protestante”. La premier neo-eletta ha invece teso la mano agli unionisti: “Percorriamo insieme questa strada a doppio senso, incontriamoci a metà strada”, ha detto. 

Non così in fretta

Ma non si tratterà di un cammino semplice. Come sottolineato dal quotidiano Politico, il processo di pace avviato 26 anni fa con la mediazione di Washington non si è mai davvero concluso, e ci sono diversi gruppi militanti ancora attivi che non lasceranno cadere facilmente la causa unionista. In più, il meccanismo del governo condiviso è in realtà una ricetta per l’empasse politica, poiché la dipendenza dal sostegno continuo di entrambe le parti si tramuta nei fatti in instabilità strutturale, come è stato evidente dopo il voto britannico sulla Brexit. 

L’unica cosa su cui apparentemente nazionalisti e unionisti sono d’accordo è la richiesta di maggiori fondi da Londra, che sta già fornendo 3,3 miliardi di sterline al governo di Belfast per rattoppare i buchi nei servizi pubblici dopo due anni in cui lo Stato nordirlandese è rimasto sostanzialmente assente. Resta da vedere quale sarà il riverbero nell’Ulster delle elezioni politiche nel Regno Unito, che si terranno probabilmente quest’anno, e che secondo i sondaggi verranno vinte dal partito laburista.

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Fonte : Today