*Questa intervista fa parte di una serie di conversazioni con creativi e professionisti che si misurano, ormai ogni giorno, con i vantaggi e i limiti dell’intelligenza artificiale
ChatGpt, il più famoso esempio di IA generativa, nasce come strumento “magico” per la scrittura. Non solo può migliorarla – criticando e correggendo qualsiasi scritto – ma può anche sostituirsi all’uomo nella stesura di un testo. Tanto da spingere diverse persone a usare l’IA per scrivere interi saggi o romanzi.
Per creare un libro con ChatGpt, “bastano quattro ore”. E su Amazon, per esempio, ce ne sono ormai a centinaia. Ma l’intelligenza artificiale può competere davvero con la creatività umana? E i lettori possono accontentarsi di ciò che scrive una macchina?
Sono le domande che hanno portato Pierdomenico Baccalario, scrittore e sceneggiatore con un curriculum ricco di storie d’avventure per ragazzi, a tentare un esperimento inedito: mettere insieme, nello stesso volume, la stessa storia scritta dall’IA e dall’autrice esordiente Valentina Federici. Il libro si chiama Viaggio oltre l’ignoto ed esce il prossimo 20 febbraio per la casa editrice Il Castoro.
Pierdomenico come è nato questo esperimento?
Con altri due scrittori ed editor, Marco Morosinotto e Davide Magnoni, abbiamo preso un’idea di una storia, quella che l’intelligenza artificiale chiama “seed” [il “seme”, nda], e abbiamo affidato il suo sviluppo sia a una IA generativa sia a un’autrice esordiente. Poi abbiamo usato con entrambi un identico procedimento editoriale, lasciandole libere di scrivere ma seguendo ogni passaggio per assicurarci che il risultato fossero due romanzi pubblicabili a partire dalla stessa idea. Alla fine abbiamo raccolto i due romanzi brevi, di circa 125 pagine ciascuno, nello stesso volume, spiegando al lettore come siamo arrivati a i due scritti definitivi.
Quali sono le principali differenze tra i due lavori?
La cosa sorprendente è che l’IA è più prevedibile nella scrittura ma il suo finale, invece, è geniale. È qualcosa per cui, se l’avessi scritto io, mi sarei dato una pacca sulla spalla. È un finale geniale da un punto di vista umano, perché l’intelligenza artificiale ovviamente non si è resa conto di aver scritto qualcosa di sorprendente.
È la conferma della capacità dell’IA generativa di imitare la creatività umana?
“Non proprio. Questo esperimento a mio avviso conferma che il cervello umano è in grado di sorprendersi indipendentemente da quale sia l’autore di uno scritto. Gli esseri umani continuano a cercare e ricostruire un senso anche in qualcosa che un senso non ce l’ha. Noi lettori umani siamo quindi capaci di trovare un senso anche nella scrittura di una macchina che segue un processo narrativo privo di un vero significato”.
In effetti l’IA generativa è capace solo di predire quale parola ha più possibilità di apparire dopo un’altra, dato un determinato contesto. Questo vuol dire, in un certo senso, che la meraviglia sta negli occhi di legge.
“Sì, anche una parte totalmente istintiva della creazione umana può darci delle soddisfazioni. E l’IA forse è il migliore esperimento possibile di creazione fatta con le parole, ci può sorprendere”.
Quanto siete intervenuti sul lavoro dell’IA?
“Abbiamo lavorato sicuramente più ore sull’IA rispetto al tempo che ci ha richiesto l’autrice esordiente. La cosa interessante è stata proprio dirigere l’IA, darle delle istruzioni e delle imbeccate che fossero buone. L’accompagnamento è stato lungo”.
Nel complesso è stata più brava l’IA o la scrittrice in carne e ossa?
“Non c’è partita. Nella scrittura è stata molto più brava e completa l’autrice esordiente, che è stata anche molto coraggiosa a prestarsi a un esperimento di questo tipo”.
C’è un modo per riconoscere a prima vista un testo scritto dall’intelligenza artificiale? Quali sono gli indizi da tenere d’occhio?
“Rispetto all’essere umano ha uno stile più pomposo e ha una tendenza alla descrizione eccessiva. Quando riceve istruzioni per ricreare una scena, per esempio, l’IA tende a esagerare con gli aggettivi. Gli stessi che un buon editor tendenzialmente eliminerebbe”.
Quali sono invece i difetti dell’IA nella scrittura?
“Quando viene utilizzata per scrivere racconti o romanzi ha due difetti enormi. Il primo è che l’IA non ha memoria. Quindi ogni volta che riceve un input nuovo fa difficoltà a tenere insieme la trama che ha già scritto. Per l’IA qualsiasi soluzione possibile: è come se partisse sempre da zero. E poi ha un grande problema con le metafore: è ripetitiva. Per il libro che abbiamo curato abbiamo scelto due storie d’amore. Le descrizioni dell’IA sembrano efficaci ma si ripetono sempre uguali, per cento pagine può continuare a scrivere, per esempio, che il protagonista stringeva il timone con tale forza da avere le dita bianche per lo sforzo”.
Lei utilizza l’IA per la scrittura?
“Pochissimo, io addirittura scrivo le bozze dei mie libri a mano, con carta e penna. Non faccio uso di IA generativa, insomma. Ma da pirata di videogiochi degli anni Ottanta posso dire che sono molto affascinato. Non parto dal presupposto che per gli scrittori sia un male”.
Oltre a essere uno scrittore, lei ha una laurea in giurisprudenza. La sua tesi – su internet e la proprietà intellettuale – ha molto a che fare con il dibattito in corso su IA e copyright.
“Sì, tanto è vero che alla fine del libro-esperimento, nei commenti, proponiamo l’adozione da parte del mondo della scrittura di tre bollini che in futuro potrebbero indicare, come forma di trasparenza nei confronti del lettore, il grado di intervento su un testo o un romanzo da parte dell’intelligenza artificiale. Si va da un ruolo minimo a un lavoro svolto completamente dall’IA, passando per uno stadio intermedio ibrido”.
Un simbolo che identifichi immediatamente l’intervento dell’IA potrebbe aiutare, in futuro, l’editoria?
“Può essere una soluzione che valorizza l’operato umano e che magari potrà giustificare un prezzo superiore quando dietro un’opera c’è una cura totalmente umana”.
L’IA finirà col sostituire gli scrittori? Il suo lavoro è a rischio?
“Se fossi preoccupato non avrei contribuito a creare un libro scritto a metà con l’intelligenza artificiale”.
Fonte : Repubblica