AGI – Vittorio Emanuele di Savoia, morto oggi a Ginevra a 86 anni, ha avuto per alcuni mesi, da bambino, la possibilità concreta di diventare re d’Italia. E a perorare la sua causa era il più grande filosofo italiano del ‘900, Benedetto Croce. La vicenda, poco nota al grande pubblico, prende le mosse già il 25 luglio 1943, quando Mussolini viene destituito da Vittorio Emanuele III. Saputa la notizia, raccontano i testimoni, Hitler va su tutte le furie, e parlando con i suoi generali sbotta: “Voglio il bambino… il bambino prima di tutti!”. Alludeva al piccolo Vittorio Emanuele, figlio dell’allora principe ereditario Umberto. Un bambino di sei anni, che i giochi della politica avevano messo, lui inconsapevole, in una delicata posizione.
Il re, infatti, era tra due fuochi: gli antifascisti lo accusavano di aver permesso al regime di nascere e prosperare per 20 anni; i fascisti e i nazisti di aver tramato per far arrestare il Duce e far cambiare fronte di guerra all’Italia. Non meno compromesso agli occhi dell’opinione pubblica risultava Umberto, silente e ossequioso esecutore della volontà paterna, considerato compromesso anche lui soprattutto dopo la drammatica fuga della corte e del Governo da Roma la notte dell’8 settembre.
Hitler, raccontano gli storici, aveva capito prima di tutti che l’unico modo per salvare la dinastia sabauda era la doppia abdicazione del vecchio Vittorio Emanuele III e di Umberto in favore del principino. Una ipotesi temuta dal Furher, e per lo stesso motivo caldeggiata, nei mesi successivi, da alcuni più illuminati monarchici italiani, come Concetto Marchesi e Benedetto Croce. Il quale, insieme a Einaudi, propose che la reggenza per il re bambino andasse alla madre, Maria José, definita dal filosofo “la più valida delle reggenti”, e decisamente fuori da ogni sospetto di collusione col fascismo.
Dopo l’otto settembre, con la corte a Brindisi, è il capo del governo Badoglio a farsi avanti col vecchio sovrano, chiedendogli di considerare l’ipotesi di successione e lasciando capire che il Cln premeva per dare la corona a Vittorio Emanuele. Reggente, nell’ipotesi badogliana, doveva diventare proprio Badoglio, come conferma in un appunto lo stesso Croce. Come noto, invece, la storia andò diversamente: Vittorio Emanuele III rifiuto’ fermamente l’abdicazione, ritenuta una ammissione di colpa, e si limito’ a concedere la luogotenenza generale del regno a Umberto nel 1944. Solo il 9 maggio del 1946 il re si decise ad abdicare, per tentare a meno di un mese dal referendum istituzionale di salvare la monarchia. Ma lo fece a favore del figlio e non del nipote. Umberto II, divenuto “Re di Maggio”, si spese in quelle poche settimane per conquistare consensi alla monarchia, mostrandosi spesso con la moglie e i figli, tra cui il biondo Vittorio Emanuele. Ma il 2 giugno l’Italia voltò pagina, e per i Savoia fu la via dell’esilio.
Fonte : Agi