Dopo i ricchissimi anni di When Harry Met Sally, di Pretty Woman e Notting Hill, del genio di Nora Ephron e di Woody Allen, i primi 2000 si costellano di commedie romantiche, portano alla ribalta Jennifer Lopez, riconfermano Hugh Grant, innalzano allo status di sex-symbol Matthew McConaughey. Poi, un po’ il vuoto. Chi ama il genere ha dovuto patire una continuata mancanza nelle sale di rom-com di rilievo, timidamente interrotta da sporadiche apparizioni (i gemelli Amici di letto e Amici, amanti e…), naturale conseguenza di un processo di sparizione dei film di genere che trova nella commedia romantica materiale di facile smaltimento. Tra l’altro sapete quali sono le 5 rom-com con gli incassi più alti di sempre?
Tutti tranne te ha il merito di riaccendere le speranze di un vigoroso ritorno per la rom-com, e potrebbe rappresentare uno spartiacque importante tra la penuria degli ultimi anni e un futuro che ridia impulso e rivitalizzi il genere. E infatti Tutti tranne te è la prima commedia romantica a superare i 100 milioni dopo Bridget Jones 3.
Equivoci e corpi da copertina
Il film di Will Gluck non inventa nulla, non rivoluzione la commedia romantica, ma gli concede respiro con un prodotto ben confezionato, bellissimo fuori e modesto dentro, rimpinguato di volti e corpi meno veri ma più “instagrammabili”, patinato di una perfezione estetica a metà tra lo spot per profumi e il reality show alla Ex on the beach.
I volti (e i corpi) sono quelli di una Sydney Sweeney in rampa di lancio dopo Euphoria (vera fucina di star con Jacob Elordi uomo del momento e Hunter Schafer pronta al grande salto) e un Glen Powell fresco di Top Gun: Maverick. Il physique du role è inappuntabile, i due sono magnetici, modelli da copertina.
Il cute meet è di quelli classici e plausibilissimi: Bea e Ben si incontrano da Starbucks, si attraggono come poli opposti, sono due mondi che collidono e si amalgamano. Ma l’equivoco è dietro l’angolo, il fraintendimento li separa, una curiosa coincidenza li riavvicina in circostanze che li costringono ad andare d’accordo nonostante i due si giurino odio reciproco e facciano di tutto per evitarsi. La sorella di Bea e la migliore amica di Ben si sposano, il matrimonio si terrà a Sydney, ai due tocca convivere e sopportarsi nel tentativo di non rovinare le nozze di Halle e Claudia.
Tutti tranne te trova, innanzitutto, coordinate confortevoli in una cornice spaziale e temporale che limita al minimo il conflitto e inquadra in tempi delimitati il “match” tra i due rivali-amanti. La dimensione vacanziera e celebrativa da un lato rassicura e contribuisce ad ammantare il film di quell’estetica della perfezione che un po’ rasserena e un po’ estenua, dall’altro depotenzia evidentemente il conflitto dei protagonisti con i personaggi secondari, finendo per appiattire quello personale (l’incertezza esistenziale di Bea come risposta alle pressioni dei genitori iperprotettivi, l’incapacità di Ben di lasciarsi trascinare dall’amore) e rendendone sterile e quasi inavvertita l’evoluzione.
Nel film di Will Gluck tutto è luminoso, tutto è risolvibile in qualsiasi momento e il focus si sposta sulle modalità, sui fraintendimenti, sui qui pro quo, sui problemi dettati dall’incomunicabilità che ostacolano il definitivo ricongiungimento.
Manca forse un percorso di crescita più netto, perché i problemi dei protagonisti sono sanabili, mai davvero esibiti come debilitanti, ma in fondo è ancora la conseguenza dell’ambientazione extra-quotidiana e paradisiaca, del gioioso evento sullo sfondo.
In parte la scelta di non ricadere in stucchevoli situazioni conflittuali risponde alle esigenze del genere di riferimento (in fondo, l’interesse per lo spettatore è calamitato in gran parte dagli intoppi che i quasi amanti devono superare per tornare a connettersi) e a una bilancia narrativa che pende decisa verso la componente comica, ma la crescita di Ben e Bea, assunto di base per un riavvicinamento, è quasi del tutto trascurata in favore di un divertissement che si concentra sullo scontro e le sue realizzazioni come ideale detonatore comico, come innesco per la risata.
Commedia… romantica?
Tutti tranne te funziona come commedia perché sa come spingere Bea e Ben nel vortice di situazioni imbarazzanti, sa piazzare complicazioni, terzi e quarti incomodi, alimentare forze centrifughe e distrazioni, sa sfruttare al meglio la ciclicità e il meccanismo di ritorno delle proprie gag. Costruisce, poi, personaggi secondari forse fin troppo positivi ma capaci di contribuire in maniera determinante alla quota comica del film.
Il film di Will Gluck finisce, però, per concentrarsi eccessivamente sulla commedia e dimentica di dover nutrire un romanticismo che se non fosse risollevato dal tipico gesto eclatante delle battute finali rimarrebbe scarno e brancolante. Per quanto di primo acchito permanga l’idea di un giusto equilibrio tra gli elementi comici e le situazioni romantiche, ripercorrendo la catena di eventi si ha presto la sensazione che tutto ruoti attorno al problematico riavvicinamento tra Bea e Ben e che ci si dimentichi di approfondire a dovere un necessario processo di scambio, di conoscenza, di compenetrazione. Tutti tranne te dà per scontato e battezza come aprioristico il feeling tra i protagonisti, assodando il colpo di fulmine del loro primo incontro e trascurando totalmente la necessità di sostentare e far accadere (o quantomeno rinsaldare) l’innamoramento.
Che poi tutto venga scherzosamente veicolato e manipolato dai personaggi secondari o che si costituisca come risposta al gioco delle parti che Bea e Ben si ritrovano a dover sostenere è solo in parte un alibi (che le situazioni vengano azionate da fattori esterni è, in fondo, caratteristica fondamentale delle rom-com), dato che proprio attraverso la recita, attraverso le schermaglie, il gioco, i due potrebbero raccogliere i frutti di un conoscimento in itinere obbligato che, in realtà, avviene solo superficialmente e si culla troppo sulla reciproca resistenza dei due protagonisti.
L’esordiente Ilana Wolpert (autrice del soggetto e della sceneggiatura, scritta a quattro mani con Will Gluck) si rivela, comunque, capace di proiettare la narrazione verso una vitale successione di momenti di unione e di contrasto deciso, spingendo su un rapporto altalenante (come si confà alle commedie romantiche), di continue tensioni e distensioni.
Si mette in mostra anche quando utilizza con sapienza il meccanismo di set-up e pay-off per provocare le gag facendo attenzione ad evitare ridondanze di sorta e quando, tornando a quella cornice eterocronica della vacanza, della festa, riesce a dichiarare allo spettatore i limiti all’interno dei quali le ostilità dovranno necessariamente approdare ad una risoluzione: tutto dovrà avvenire prima o in concomitanza col matrimonio galeotto, ogni avvenimento avrà luogo nella casa in cui Bea e Ben sono ospiti. La narrazione allora si compatta e si guarda bene dal disorientare lo spettatore, rifugiandosi nella propria armonia, nell’euforia aleggiante, nel brio che la fotografia, smagliante, supporta per mettere di buon umore, nella passione e nella fiducia di vivere la vita come canta Natasha Bedingfield (il momento corale al ritmo della sua Unwritten smuove anche i più bisbetici), con le braccia spalancate pronte ad accogliere il domani, come all’inizio di un libro che attende solo di veder scritto il resto.
Fonte : Everyeye