Di nomadismo digitale sentiremo parlare ancora a lungo, perché se la pandemia ha rappresentato un boost, di certo il fenomeno ha ancora molti margini di evoluzione, indagine e racconto. C’è il tema generazionale, ovvero la maggior propensione di millennial e Gen Z a dare valore (anche) alla mobilità quando cercano un impiego e c’è lo studio dell’impatto che un fenomeno simile produce a livelli più profondi, come quello urbano.
C’è il tema delle mete, che cambiano nel tempo, e quello delle professioni/carriere che consentono questo approccio di lavoro e di vita. Anche su questo fronte, come indicava il ricercatore e antropologo dell’University College London Dave Cook, c’è più varietà che in passato. Se prima della pandemia, infatti, i nomadi digitali erano perlopiù liberi professionisti, la macrocategoria, secondo Cook, ha finito per inglobare altri soggetti, come “imprenditori nomadi digitali; nomadi digitali sperimentali (lavorano e viaggiano ma con reddito ancora limitato); nomadi digitali in poltrona (non viaggiano ma lavorano da remoto); e, la categoria emergente più rapida, quella dei nomadi digitali stipendiati” (regolarmente assunti ma indipendenti dall’ufficio e quindi propensi al viaggio, ndr).
Inevitabilmente però, alcune professioni si prestano particolarmente a un regime di nomadismo digitale. Lo scorso novembre un’analisi condotta da The Social Hub, ha analizzato oltre 80 carriere, stilando una classifica delle prime venti che più di altre, valutando gli annunci di lavoro correlati e l’offerta in ottica “remota”, consentono questa peculiare svolta. Il settore Ict, anche in questo ambito, si impone con numerosi ruoli (IT data analyst; software tester, web developer, software developer e tester; computer hardware engineer) ma non mancano occasioni per professionisti più creativi, come sceneggiatori, giornalisti e traduttori, e per altri soggetti come attuari, statistici, broker assicurativo, product manager. A spingere verso una carriera digitale possono essere, di partenza, competenze e desiderio di confrontarsi con stili di vita meno monotoni. Ma anche, in alcuni casi, la voglia di crescere professionalmente. Lontano dalla postazione in sede, e dalla routine, ci si apre ai confronti e agli incontri, a un network di colleghi diffuso e trasversale che spesso popola strutture che nascono anche per questo fine.
Il desiderio di non essere vincolati ad ambienti tradizionali si rifletterà allora nelle scelte di logistica, tanto più se il nomadismo si fa per davvero e non diventa un semplice lavoro da remoto lontano dall’ufficio. Se sono flessibili i lavoratori, ma anche gli studenti e i turisti, non possono essere rigidi gli spazi e così con questo approccio The Social Hub, in precedenza noto come The Student Hotel, ha declinato le sedi presenti nel suo portfolio di proprietà e distribuite in numerose città europee, capitali comprese (Amsterdam, Vienna, Parigi).
Fonte : Wired