Ilaria Salis, militante antifascista in detenzione preventiva da un anno in Ungheria, non è la sola connazionale a trovarsi in carcere fuori dall’Italia. Gli italiani detenuti all’estero sono infatti oltre 2 mila e, tra questi, più della metà non ha ancora ricevuto una condanna, come nel caso di Salis, oppure è in attesa di estradizione o giudizio.
Il caso Ilaria Salis
L’incarcerazione di Ilaria Salis a Budapest è di certo uno dei casi più assurdi di detenzione preventiva. L’attivista di Milano è stata arrestata senza prove, con l’accusa di aver causato “lesioni potenzialmente mortali” a un gruppo di neonazisti – guarite in 3 giorni – che celebravano le truppe ungheresi collaborazioniste con il regime di Adolf Hitler e sconfitte dall’Armata Rossa l’11 febbraio del 1945. Conosciuto con il nome di Giorno dell’onore, è uno dei più grandi raduni nazi-fascisti in Unione europea.
Nel silenzio delle istituzioni italiane, Salis attende da un anno un verdetto sul suo caso in un carcere dell’Ungheria, che ha ricevuto una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per gravi violazioni dei diritti dei detenuti. La donna è stata mostrata con catene alle mani e ai piedi e con un guinzaglio retto da un’agente mentre si recava alla sua prima udienza e le sue testimonianze raccontano di topi, scarafaggi, cimici dei letti, assenza di assorbenti, carta igienica, sapone e, a volte, di cibo.
Le altre persone detenute all’estero
Oltre a lei, come riporta l’Annuario statistico del ministero degli Esteri, altre 1.471 persone di cittadinanza italiana si trovano nelle carceri degli stati membri dell’Unione europea, 231 in paesi europei ma fuori dall’Unione, 217 nelle Americhe, 24 nell’area del Mediterraneo e del Medio oriente, 12 nei paesi dell’Africa subsahariana e 114 tra Asia e Oceania. La maggior parte, 713, è rinchiusa nelle carceri tedesche, seguono poi quelle francesi, spagnole e croate, con 230, 229 e 157. Fuori dall’Unione, i paesi con più detenuti italiani sono il Regno Unito con 126, la Svizzera con 73, il Brasile e gli Stati uniti con 33 e 31 e l’Australia con 27.
Tra loro c’è Filippo Mosca, di Caltanissetta, da quasi nove mesi trattenuto nel carcere di Porta Alba di Costanza, in Romania, condannato in primo grado a 8 anni e 6 mesi per traffico internazionale di stupefacenti. Il ragazzo è stato denunciato per aver ricevuto un pacco contenente sostanze, proveniente dalla Spagna, presso l’albergo in cui alloggiava durante un festival a Costanza. In base alla sua testimonianza sarebbe stata una ragazza di Barcellona a chiedergli l’indirizzo per farsi consegnare quelli che sarebbero dovuti essere cosmetici.
Il caso Chico Forti
Mentre il caso più famoso e di lunga data è quello di Enrico Forti, detto Chico, dal 2000 rinchiuso in un carcere vicino Miami, in Florida. Forti è stato condannato all’ergastolo senza condizionale per frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio per un caso legato all’acquisto di una struttura alberghiera. Una vicenda la cui ricostruzione è stata a lungo contestata e Forti si è sempre dichiarato vittima di un errore giudiziario. Nel 2020, l’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva annunciato di averne ottenuto il trasferimento in Italia, ma la cosa non è mai avvenuta.
A parte questi tre casi noti, si sa poco o nulla degli altri 2mila italiani detenuti all’estero e lo Stato si è dimostrato spesso assente nel verificare le loro condizioni e il rispetto dei loro diritti. Anche per questo, l’unica associazione che si occupa di dare assistenza a queste persone e alle loro famiglie ha scelto eloquentemente come nome quello di Prigionieri del silenzio. La onlus è nata a Grosseto nel 2008 e si occupa di difendere i diritti dei detenuti italiani all’estero, creare un movimento di opinione pubblica a loro favore e promuovere iniziative di assistenza economico sociale per le famiglie.
Fonte : Wired