Dietro l’attacco dell’Isis alla chiesa di Santa Maria vi sono diversi fattori, ma all’origine vi è anche la mancata risoluzione della causa palestinese che ciclicamente infiamma la regione. Mons. Bizzeti parla di “effetto domino” che è anche frutto di semplificazioni e politiche miopi. E critica la scelta “irresponsabile” di sospendere gli aiuti nella Striscia tramite la Unrwa.
Roma (AsiaNews) – L’attentato alla chiesa di Santa Maria a Istanbul, in Turchia; la devastante guerra di Israele ad Hamas a Gaza, che sta incendiando non solo la Terra Santa ma tutto il Medio oriente col suo carico di morte e distruzione; gli attacchi alle navi dirette nel mar Rosso; la questione dei migranti, che né i fiumi di denaro dall’Occidente né le politiche repressive hanno saputo controllare. Un filo invisibile unisce questi fronti all’apparenza slegati fra loro ma che, secondo il vicario apostolico dell’Anatolia, se collegati svelano molti dei nodi irrisolti nella regione e all’origine delle violenze. “È tutto collegato – afferma mons. Paolo Bizzeti, in questi giorni in Italia – causando un effetto domino: la mancata risoluzione della questione palestinese mette ciclicamente in moto gruppi fondamentalisti che, in nome di una comune solidarietà col suo popolo, compiono attentati dove possono. E non è un caso che, nei disegni e nelle immagini rinvenute nel covo degli assalitori, vi fossero chiese e sinagoghe”.
Il riferimento del presule è all’attentato alla chiesa cattolica a Istanbul il 28 gennaio scorso, che ha causato la morte di un uomo di 52 anni e diversi feriti, attorno al quale stanno emergendo nuovi dettagli diffusi in queste ore dalla polizia che ha compiuto 25 arresti: gli abiti dei due assalitori sono stati ritrovati in un contenitore dell’immondizia, gettati in tutta fretta prima della fuga nel tentativo di confondere eventuali telecamere e filmati. Entrambi lavoravano come cuochi in un ristorante cinese del distretto di Bahçelievler e sarebbero originari della Russia e del Tagikistan.
Le forze dell’ordine hanno sequestrato le armi usate per colpire e diffuso le foto segnaletiche: uno di loro, in particolare, si sarebbe tagliato la barba per cercare di non essere riconosciuto, mentre la macchina utilizzata – e abbandonata – montava una targa di nazionalità polacca. L’attentato, rivendicato nelle ore successive dallo Stato islamico, sebbene il modo di operare si discosti dalle azioni del movimento jihadista, avrebbe potuto concludersi con un bilancio ben più grave, ma le armi inceppate hanno scongiurato quella che poteva essere una carneficina.
Il vicario d’Anatolia si domanda perché le autorità turche che “avevano da settimane individuato e arrestato un discreto numero di persone pronte a colpire” chiese e sinagoghe, “non hanno pensato di avvertirci per dar modo di attuare precauzioni o contromisure. Non servivano proclami – prosegue -, sarebbe bastato avvertire il vescovo.”, Resta la speranza che gli attacchi “siano finiti e non vi sia un seguito”. “In Medio oriente, e in Turchia in particolare, – prosegue – sta crescendo un sentimento di idiosincrasia verso tutto quello che riguarda l’Occidente, con evidenti semplificazioni: quindi cristiani, europei, americani, occidentali in genere sono considerati come parte di un insieme”.
Analizzando le cause all’origine degli attacchi anti-cristiani in Turchia, il vicario d’Anatolia punta il dito contro la “miope” politica di Stati Uniti ed Europa, legata alla “profonda ignoranza” delle vicende mediorientali. “Si sviluppano continuamente contratti miliardari, collaborazioni militari, ci illudiamo di controllare il flusso di migranti – sottolinea – delegando ad Ankara il compito” dietro il corrispettivo di denaro. Anche le accuse rivolte “al presidente [Recep Tayyip] Erdogan di dittatura sono una semplificazione”, perché egli ha saputo “dare un grande impulso al Paese e possiede una capacità politica superiore” a molti leader nel Vecchio continente. Ne sono prova i molti fronti, dall’Africa ai Balcani fino a Gaza, in cui è attiva la diplomazia di Ankara che, certo con alterne fortune, in questi ultimi anni si è dimostrata protagonista ben più di alcune cancellerie occidentali.
Questa ricerca del sostegno interno non è però esente da criticità, perché le due ore di religione sono un’introduzione ad una vita da islamico praticante come avviene per noi nel catechismo e un certo numero di licei pubblici sono stati trasformati in istituzioni per formare gli imam. Questo fa parte della politica dell’Akp [Giustizia e sviluppo del presidente Erdogan] per conquistare il voto della parte religiosa dell’elettorato, ma finisce per scavare un fossato fra le persone di fede aperte e tolleranti, e la componente più radicale e populista.”. Da ultimo, vi è il fatto che il popolo turco – ma più in generale tutte le popolazioni della regione – “non concepisce una società occidentale che nega Dio, anche se tra gli stessi turchi esiste una piccola percentuale interna formata da atei: per loro è incomprensibile, perché rappresenta la perdita delle coordinate dell’esistenza, della morale. Per anni l’Europa è stata un modello cui ambire anche a livello politico, oggi la stima verso la sua visione della vita è crollata”.
Da un lato, dunque, la “semplificazione” sulla guerra a Gaza che non permette di capire che anche i cristiani sono vittime di una politica occidentale spesso “troppo unilaterale verso Israele”, con conseguenze anche pesanti. “Non solo i palestinesi – ricorda mons. Bizzeti – ma pensiamo alle stesse popolazioni beduine di Israele, nel mirino dei coloni e che in 40 anni sono passate da 500mila unità a circa 30mila”. Di loro “nessuno ne parla, eppure anche questo è un genocidio” che contribuisce “ad infiammare il Medio oriente”, dall’altro una parte del mondo musulmano mostra altrettanta semplificazione colpendo i cristiani come “simbolo”, in un “clima generale [di odio] che è andato crescendo dopo le due guerre del Golfo”. Tornando all’attentato alla chiesa di Istanbul, potrebbe essere “un piccolo episodio, ma in realtà – conclude il vicario – è specchio di una politica che non funziona e di cui tutti siamo corresponsabili: dalla Turchia all’Europa, fino agli Stati Uniti, come mostra anche l’ultima scelta irresponsabile di sospendere gli aiuti a Gaza tramite la Unrwa”.
Fonte : Asia