Perché i test dell’intelligenza e delle macchie non bastano per valutare la capacità di intendere di Alessia Pifferi

I test a cui le psicologhe del carcere e i periti di parte hanno sottoposto Alessia Pifferi sono effettivamente utili a comprendere la capacità di intendere e di volere di un soggetto? E soprattutto è obbligatoria una formazione prima di somministrarli? A spiegarlo a Fanpage.it è Roberto Cicioni, Direttore dell’Istituto Rorschach forense.

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Intervista a Dott. Roberto Cicioni

Direttore dell’Istituto Rorschach forense

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Alessia Pifferi

Due psicologhe, che prestavano servizio nel carcere San Vittore di Milano, sono indagate per falso e favoreggiamento nel caso di Alessia Pifferi accusata di aver fatto morire di stenti la figlia Diana. Le due, secondo il pubblico ministero Francesco De Tommasi, avrebbero “manipolato” la donna e avrebbero somministrato un primo test per valutare il quoziente intellettivo attraverso il quale sarebbe stato attestato “falsamente” che avesse un “deficit grave”.

Per il magistrato il test non sarebbe “utilizzabile a fini diagnostici e valutativi” e non rientrerebbe “nelle loro competenze”. Oltre a sottoporla a un test psicologico “non autorizzato”, non sarebbero state registrate le conversazioni avute con la donna. E proprio sulla base di questi colloqui, i consulenti tecnici di parte Marco Garbarini e Alice Quadri avrebbero sottoposto la donna al Thematic apperception test e al test delle macchie di Rorschach per valutarne le sue capacità.

Relativamente al primo test, i consulenti avevano certificato che: “Si era limitata a fornire brevi e scarne descrizioni, per lo più statiche, delle raffigurazioni proposte: una sorta di fotografia della realtà dove gli eventi accadono senza una logica causale” e che quindi “vive in una dimensione isolata, per lei oggi e domani si equivalgono”.

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Per il secondo sarebbe emersa una “capacità di analisi e di sintesi al di sotto della norma” da parte dell’imputata. Ma questi test possono effettivamente essere utili a comprendere la capacità di intendere e di volere di un soggetto? E soprattutto è obbligatoria una formazione prima di somministrarli? A spiegarlo a Fanpage.it è Roberto Cicioni, Direttore dell’Istituto Rorschach forense.

È obbligatorio che uno psicologo frequenti un corso di formazione per somministrare test a un paziente? 

Lo psicologo abilitato all’esercizio della professione, quindi che ha fatto l’esame di Stato, può somministrare test. Questa attività all’Università però non è affrontata in modo esaustivo. Questo significa che per chi vuole somministrare test per valutare la personalità, soprattutto in un contesto forense, è assolutamente necessario affrontare una formazione. Questa può avvenire attraverso la frequentazione di percorsi con enti privati o universitari.

Ci sono test più complessi di altri che possono richiedere una formazione più approfondita. Il test delle macchie, per esempio, prevede una formazione importante e lunga: è un esame ambizioso che si propone di dare molte informazioni se ben utilizzato. Per questo motivo è molto complesso.

Cosa intende dire quando afferma che è un test che può dare molte informazioni se ben utilizzato? 

Le faccio un esempio: un ortopedico sottopone un paziente a una lastra e in questo modo sa se si è rotto o meno una gamba. Uno psicologo, invece, non ha strumenti in grado di fotografare la mente in modo univoco. La psicologia infatti ha a disposizione strumenti che cercano di dare un’informazione sulla personalità: sul vivere affettivo, sull’intelligenza, sull’adattamento. Ogni test quindi può avere aree di investigazioni privilegiate.

Parliamo però sempre di psiche e di test – talvolta semplici e altre volte no – che necessitano di esperienza, conoscenza e capacità di chi li utilizza a saperli sfruttare al meglio, sapendo bene quali sono i loro vantaggi e limiti. Non sono fotografie, ma danno una serie di informazioni che l’esperto deve integrare per fare un profilo di personalità.

Sul caso specifico del test delle macchie inoltre ci sono diverse scuole di pensiero su come interpretarlo. E infatti questo talvolta è anche tema di controversia in campo forense su come utilizzare le informazioni che il test mette a disposizione.

Il test delle macchie serve anche per valutare il quoziente intellettivo? 

No. Il termine quoziente intellettivo deriva da un test specifico, che si chiama Wais.

Questo test potrebbe servire per stabilire se una persona è capace di intendere e di volere? 

Normalmente non viene utilizzato in forma prioritaria per valutare la capacità di intendere e di volere perché questa si basa anche su altri elementi.

Il test delle macchie o Rorschach invece? 

Questo particolare test ha una funzione molto importante nel contesto forense. Chi si sottopone infatti non è in grado di comprendere la logica interpretativa del test, per cui non può fare altro che rispondere.

Normalmente, insieme al test Rorschach, si somministra il questionario MMPI che prevede una serie di domande. In questo caso, è possibile che un paziente possa pensare che, rispondendo in un modo o in un altro, possa avere vantaggi. Il test delle macchie, invece, non lo consente a meno che non siano suggerite in malafede le risposte.

Il Rorschach permette di valutare molti aspetti della personalità. Può dire il livello di intelligenza di una persona, che tipo di intelligenza il paziente ha, ma dà anche informazioni sulla capacità di adattamento e su come il soggetto si relaziona con l’ambiente e con l’altro. Permette quindi di avere una descrizione della personalità molto più ampia e articolata.

Per questo motivo, considerata la mole di informazioni, è possibile che un collega inesperto possa integrarle erroneamente. Per chi sa come funziona il test, è sicuramente un tassello importante tra i tanti che può essere utilizzato per comprendere la capacità di intendere e volere. Da solo infatti non basta, serve molto di più. Sicuramente però può essere di grande aiuto.

Quali sono i limiti di questi test? 

I limiti, in primis, sono di chi lo utilizza. Poi c’è il discorso relativo al fatto che i test sono strumenti ciechi che noi cerchiamo di utilizzare compensando i limiti intrinseci. Nel questionario MMPI, per esempio, ci sono domande a cui rispondere con vero e falso. Chi si sottopone potrebbe farsi l’idea su come sarebbe meglio rispondere. Il Rorschach ha invece il limite della complessità.

Non ci sarebbero registrazioni delle sedute dove a Pifferi veniva somministrato il test Wais, è possibile quindi che siano stati influenzati i risultati? 

È possibile che le psicologhe del carcere abbiano somministrato il test perché, a loro giudizio, era necessario. È fondamentale lasciare traccia di quanto fatto e inserirlo in una cartella clinica. Così come deve avvenire nel caso di test effettuati dai periti di parte. Questo perché tutti i test devono essere disponibili ad altri per un confronto.

In generale che idea si è fatto su questo caso? 

Non ho riscontri professionali per poter giudicare l’operato delle colleghe e dei periti di parte. In televisione ho potuto vedere il modo di esprimersi di Alessia Pifferi sia durante il primo interrogatorio che durante il processo. Effettivamente sembrano due persone differenti.

In termini generali – non mi riferisco quindi al caso specifico – si arriva subito a capire chi ha un disturbo cognitivo molto serio. Si tratta di persone che necessitano di sostegno a scuola e che spesso non completano facilmente il percorso scolastico. Spesso percepiscono anche una pensione o un aiuto perché è complesso anche svolgere attività quotidiane. Insomma ci si accorge abbastanza subito se una persona ne soffre o meno.

Nel caso in cui dovessero essere somministrati nuovamente tutti i test, sarebbe in grado di alterarli rispetto alla prima volta in cui è stata sottoposta? 

Se ne fosse capace, significherebbe che il suo livello intellettivo e capacità sarebbero superiori alla media. In ogni caso, è prassi che alcuni test possano essere rifatti dopo che sia passato un po’ di tempo per evitare le interferenze della memoria. Questo vale soprattutto per il Rorschach per evitare che il soggetto ricordi quello che ha detto prima e lo riproponga come un test di memoria. La mente e la psiche sono dinamiche, quindi dopo 7-8 mesi possono essere trasformate e interpretate in un modo differente.

La Wais invece è un test basato su informazioni e conoscenze che non prevedono apprendimento.

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Fonte : Fanpage