Sembrava pura utopia, e invece lo scenario più rocambolesco si è concretizzato in poche ore. Ebbene sì, è fatta signori: Lewis Hamilton sarà di casa a Maranello. Roba da far drizzare peli e capelli. Ai fan di “The Hammer”, ma anche a quegli appassionati di corse (e non sono pochi) che il pilota inglese non l’hanno mai troppo amato. Anzi, al bando gli eufemismi: spesso e volentieri lo hanno detestato. Vuoi perché Lewis alla rossa ha soffiato qualche titolo, vuoi per certe sue prese di posizioni indigeste a quelli che “il pilota deve pensare a correre”. Piaccia o no, Hamilton ha sempre scelto di esporsi. Contro il razzismo, di cui è stato bersaglio fin da piccolo (“ero uno dei pochi bambini di colore e i ragazzi più grandi, più forti e prepotenti mi prendevano in giro per la maggior parte del tempo”), e per i diritti delle minoranze.
Come quando definì “inaccettabile e codarda la legge anti-Lgbtq del governo ungherese”. O quando, prima in Qatar e poi in Arabia Saudita, indossò un casco color arcobaleno per solidarizzare con la comunità omosessuale. O ancora quella volta che in Austria dopo la morte di George Floyd (e le conseguenti proteste negli Stati Uniti) alzò il pugno sul podio replicando il gesto di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico nel 1968. Qualcuno dirà che sono battaglie di facile presa. Mica tanto se poi ti accusano di essere “politicamente corretto”, per non dire paraculo, un giorno sì e l’altro pure.
Lui comunque è sempre andato dritto per la sua strada. “Tra i miei colleghi” ha detto, “c’è chi di queste cose se ne frega e chi si preoccupa. Io sento la responsabilità di educare chi ci segue”. Cattolico, Lewis ha dichiarato di pregare più volte al giorno “quando mi sveglio, quando vado a letto e prima di ogni pasto” e di essere diventato vegano perché l’industria della carne è la principale causa della “deforestazione e della crudeltà verso gli animali” (“la crudeltà quotidiana della razza umana è orribile. Non voglio contribuirvi”). Una presa di posizione che gli è costata più di qualche critica, tra cui quella del nemico giurato Alonso che lo ha accusato di incoerenza (avrà mica il dente avvelenato?).
Poi ci sarebbe da parlare anche del pilota: dei sette titoli mondiali, delle 103 vittorie (record assoluto in Formula 1), dei 197 podi, delle lotte in pista. Qualcuno (più di qualcuno) gli ha sempre affibbiato l’etichetta di sopravvalutato. “Quello là vince solo perché ha la macchina”. A lui, che a differenza di altri illustri colleghi, non ha potuto contare sui soldi della famiglia, ma solo sul suo talento. Caso più unico che raro nel mondo del motorsport. E si potrebbero fare tanti discorsi su come la prenderà Leclerc, sui due “galli nel pollaio”, sull’età che avanza inesorabile e si porta via riflessi e decimi di secondo. Ma in fondo che importa: Hamilton è sulla rossa.
Fonte : Today