È impossibile sapere quanto questa operazione – comunque nata grazie a dati ottenuti illecitamente – abbia effettivamente condizionato le elezioni statunitensi o il referendum sulla Brexit. Così com’è impossibile conoscere l’impatto avuto nello stesso anno dalle fabbriche di fake news al soldo del Cremlino (tra cui la famigerata Internet Research Agency di San Pietroburgo), che Facebook non cerca inizialmente nemmeno di arginare. È invece certo che lo scandalo Cambridge Analytica (a causa del quale Facebook ha ricevuto una multa da cinque miliardi di dollari) ha una volta per tutte rivelato come i social network (e i nostri dati) possano essere usati addirittura per cercare di compromettere i processi democratici.
L’assalto a Capitol Hill nasce (anche) su Facebook
Anche in questo caso c’è di mezzo Donald Trump e l’incapacità di Facebook – e di tutte le altre piattaforme social – di tenere a bada la circolazione di fake news e teorie del complotto. Tutto nasce con la diffusione di QAnon, il movimento complottista che considera Trump una sorta di messia: un combattente per la libertà in lotta contro i circoli corrotti e perversi che governano Washington.
A partire dal 2017, questa teoria del complotto si diffonde prima su 4chan e poi su tutte le altre piattaforme, assumendo tratti sempre più violenti e venendo abbracciata in toto anche dall’estrema destra statunitense e da un numero sempre crescente di politici repubblicani. Nonostante il cambio di approccio nei confronti della disinformazione in seguito agli scandali del 2016, Facebook, Twitter, YouTube e gli altri faticano a tenere a bada le fake news legate a QAnon. Nel frattempo, si avvicinano le elezioni presidenziali statunitensi del 2020, che contrappongono Trump a Biden.
Dopo la vittoria di Biden e le false accuse di Trump, che considera le elezioni truccate a favore del suo avversario, sui social network inizia a sorgere il movimento Stop the Steal (Fermiamo il furto). Il tutto culmina il 6 gennaio, quando i sostenitori di Trump e di QAnon, incitati di persona dallo stesso magnate, assaltano il Campidoglio a Washington.
Un assalto organizzato online anche, se non soprattutto, su Facebook. A dimostrarlo è la non profit Tech Transparency Project, che individua una serie di pagine Facebook che fanno esplicitamente riferimento al 6 gennaio come al giorno in cui passare all’azione. Nonostante Facebook abbia rimosso parecchie pagine violente legate a QAnon, all’estrema destra e al movimento Stop the Steal, molte altre hanno invece continuato a incitare alla rivolta e a venire utilizzate per organizzare l’assalto. Stando inoltre ai documenti interni visionati dalla Cnn, Facebook si è dimostrata altamente impreparata ad affrontare la situazione, iniziando ad agire con maggiore decisione soltanto quando la rivolta ha assunto tratti violenti e quasi golpisti.
Myanmar: Facebook è usato per diffondere la violenza
Attorno al 2018 si inizia a parlare anche in Occidente di una crisi umanitaria in corso in Myanmar da parecchi anni. È una crisi che ha come protagonista la minoranza musulmana dei Rohingya, oggetto di persecuzioni e violenze tali da causare la fuga dal paese di almeno 700mila persone e la morte di migliaia. Una situazione talmente grave che le Nazioni Unite hanno definito la violenza perpetrata ai danni dei Rohingya “genocida”.
Fonte : Wired