Lo rivela una ricerca della Japan External Trade Organization (Jetro) nelle nazioni dell’area in cui sono presenti imprese del Sol Levante. Gli stipendi non bastano nemmeno per coprire i costi di un alloggio. Il 60% delle aziende giapponesi decide di investire per il basso costo del lavoro. L’esodo all’estero di personale qualificato.
Colombo (AsiaNews) – Lo Sri Lanka ha il dato più basso in tema di pagamenti in tutta la regione dell’Asia-Pacifico e Oceania, almeno nelle nazioni in cui sono presenti e operative compagnie del Sol Levante. È quanto emerge da una ricerca condotta dalla Japan External Trade Organization (Jetro), che certifica una situazione di criticità per i lavoratori dell’isola dell’Asia del sud. Intanto, secondo le stime del settembre scorso l’inflazione relativa ai prodotti alimentari è cresciuta del 95% a fronte di un salario che resta stagnante e non mostra margini di crescita.
In alcune fabbriche di abbigliamento, i lavoratori vengono pagati a partire da 16mila rupie (44 dollari) che è il salario minimo nazionale. Al contempo, gli stipendi di quanti migrano nelle zone di libero scambio – nelle città in cerca di occupazione – sono insufficienti per pagare anche solo un alloggio. L’attuale crisi salariale nella regione asiatica ha assunto la sua forma peggiore in Sri Lanka, nazione che deve ancora riprendersi da una crisi economica senza precedenti.
L’indagine condotta dall’istituto nipponico risale ai mesi di agosto e settembre 2023, quando la maggior parte delle aziende riferiva di una situazione in miglioramento dopo il periodo di grave difficoltà affrontato dal Paese. Oltre il 53% delle aziende ha confermato i “vantaggi” nell’investire in Sri Lanka (ad eccezione dei bassi compensi), inclusi i “minori problemi linguistici e di comunicazione”. Il 30% punta sul “buon ambiente di vita per gli espatriati giapponesi”. E ancora, molte altre aziende hanno indicato la facilità di reclutamento del personale con dato del 26,7% e il 32% ha evidenziato la percentuale più basse per quanto concerne sfide e difficoltà per le risorse umane in tutta l’area Asia-Oceania.
L’industria dell’abbigliamento è quella che traina il sistema in termini di esportazioni, rappresentando il 40% del totale con un volume di affari complessivo di 5,6 miliardi di dollari all’anno. Gli Stati Uniti e l’Unione europea sono i principali mercati di riferimento ma si registrano numeri significativi anche in Australia, Svezia, Giappone, Canada, India e Cina. Il settore impegna direttamente circa 400mila lavoratori e indirettamente altri due milioni, la maggior parte della produzione avviene nelle aree di libero scambio in cui i dipendenti sono soprattutto donne migranti originarie delle zone rurali.
Dhanushka Thalpahewa e Lal Dissanayaka, esperti di economia, spiegano ad AsiaNews che “circa il 60% delle aziende giapponesi ha investito in Sri Lanka perché lo stipendio mensile di base è il più basso dell’Asia-Oceania. Fra le qualifiche più ricercate – e sottopagate rispetto al resto del continente – vi sono responsabili di produzione, manager non manifatturieri, gli ingegneri della produzione, il personale non manifatturiero e gli operai addetti alla catena produttiva”.
Gli ingegneri manifatturieri Mohan Samarawickrama e Nishantha Mannaperuma, impiegati in una fabbrica di abbigliamento nella Biyagama Investment Zone, ritengono che “lo stipendio mensile, i bonus e i premi sono fattori importanti nella scelta del posto di lavoro. In alcune fabbriche dell’’industria dell’abbigliamento, il salario mensile totale varia da 24.447 rupie (circa 77 dollari) a 51.324 rupie (circa 161 dollari, bonus compresi). Tuttavia, con l’attuale alto costo della vita questo stipendio non è sufficiente”. Prima della crisi economica (la peggiore post-indipendenza), i lavoratori dell’abbigliamento riuscivano a stare a galla, nonostante i salari bassi, grazie alla retribuzione degli straordinari, ai premi di presenza e alle agevolazioni per i trasporti. “Con l’interruzione di questi benefici, il salario percepito – proseguono i due ingegneri – è diminuito drasticamente. Di conseguenza, i lavoratori faticano a far fronte alle spese. Mentre le aziende parlano di scarsità di ordini come motivo per la giustificare la riduzione degli incentivi”.
Nandani Weerasinghe, Dishna Aponsu e Menike Herath della Katunayaka Free Trade Zone aggiungono che del settore del vestiario “devono lavorare dalle 14 alle 16 ore al giorno, sette giorni su sette, sopportando anche gli abusi verbali dei dirigenti”. “La maggior parte di noi – raccontao – proviene dalle zone rurali e deve pagare cibo e alloggio. Con la misera paga mensile che riceviamo, attualmente non siamo in grado di inviare denaro a casa. Prima della crisi economica, le nostre fabbriche fornivano il pranzo, ma ora dobbiamo comprarlo alla mensa, il che rappresenta una grande spesa”. Va infine ricordato come a partire dal 2022 lo Sri Lanka abbia registrato un esodo di lavoratori qualificati e non qualificati conseguenza del crollo della valuta, quando la rupia dello Sri Lanka è scesa a 330 sul dollaro Usa.
Fonte : Asia