Il bilancio dei morti dei disordini del 10 gennaio è salito a 22 persone, mentre il Paese rischia il collasso socio-economico. P. Giorgio Licini, segretario generale della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea: “I comuni cittadini, le Chiese, lo Stato e il governo sono tutti ugualmente responsabili”.
Port Moresby (AsiaNews) – Lo scorso 10 gennaio è già stato ribattezzato “il mercoledì nero di Port Moresby”. Quel giorno infatti nella capitale della Papua Nuova Guinea sono scoppiate gravi e violente proposte a seguito del taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici, che il primo ministro James Marape ha attribuito a “un errore informatico del sistema”. Il bilancio è stato di centinaia di negozi assalti, a cui il governo ha risposto con lo stato di emergenza e negli scontri successivi sono stati almeno 22 i morti.
Sulla grave situazione sociale del Paese “esplosa” quel giorno è tornata a intervenite la Conferenza episcopale con una nota ufficiale firmata dall’arcivescovo di Port Moresby, il card. John Ribat: “Oltre alla perdita incalcolabile di vite umane, è altissimo il prezzo pagato dall’intera comunità per i danni ai negozi, visto che molti dipendevano dagli scambi e dalle vendite effettuate qui. In tanti si aggiungeranno alla crescente disoccupazione nel Paese”. La distruzione del 10 gennaio è stata causata dalla folla “che ha approfittato dell’incapacità della polizia di svolgere il proprio lavoro – chiosa il porporato -. Stiamo ricevendo preoccupanti notizie secondo cui anche diversi cattolici impegnanti nei gruppi di preghiera e nei ministeri per giovani si sono uniti alla devastazione di quel giorno. Ci sentiamo tristi e ci vergogniamo per non aver mostrato il coraggio e la resilienza della fede”. L’evento del 10 gennaio è un campanello d’allarme per il governo, ma anche per la Chiesa locale, che in estate potrebbe ricevere la visita di Papa Francesco: “Dovrebbero esserci politiche realistiche, in materia di lavoro e sicurezza sociale. Questioni che non vengono però non affrontate dalla politica”, aggiunge l’arcivescovo di Port Moresby.
“Per i fatti del mercoledì nero è iniziato il gioco delle colpe, come se ci fosse qualcuno più responsabile degli altri. Ma i cittadini, le Chiese, lo Stato e il governo sono ugualmente responsabili”, spiega p. Giorgio Licini, missionario del Pime, segretario generale della Conferenza episcopale cattolica di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. Che aggiunge: “Anche le Chiese ora sono troppo frammentate e questo riduce la loro influenza morale sulle comunità. Le nuove comunità evangeliche e pentecostali confondono in gran parte fede, politica e denaro perseguendo il ‘Vangelo della prosperità’, piuttosto che la conversione dei cuori e la rettitudine di vita. Il calo dell’istruzione, inoltre, sta spingendo il Paese nel baratro del fondamentalismo religioso”.
In seguito ai fatti del 10 gennaio il primo ministro ha effettuato un rimpasto di governo, “ma coloro che non sono riusciti a controllare la polizia – osserva p. Licini – restano a capo delle forze dell’ordine. Quanti solo pochi mesi fa hanno dichiarato in Parlamento che non esiste alcuna emergenza occupazionale nel Paese, sono ancora seduti da qualche parte a Waigani [il quartiere di Port Moresby che ospita il Parlamento ndr] a prendere decisioni. Alcuni hanno saccheggiato la città, ma forse perché altri stanno saccheggiando il Paese. Moralmente e politicamente se non finanziariamente”.
In copertina: fotogramma tratto dalle riprese della tv locale AFPTV l’11 gennaio 2024 a Port Moresby
Fonte : Asia