Carne coltivata, c’è chi vuole indagare sulla sicurezza in Europa

Il dibattito sulla carne coltivata in laboratorio arriva sulla scrivania delle istituzioni europee. Al timone della polemica si trova l’Italia, il cui governo è stato l’unico all’interno dell’Unione europea ad aver approvato un discusso divieto di produzione e vendita a riguardo. Assieme ai governi di Austria e Francia, e con il sostegno di altri nove stati membri, ha richiesto l’apertura di una valutazione di impatto sulla sicurezza della carne coltivata alla Commissione europea.

La cordata inquisitoria dei tre paesi alpini ha convinto anche i governi di Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania, Slovacchia e Ungheria. Nonostante la Commissione non abbia ancora ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione a commercializzare o produrre la carne coltivata, su questo tema i 12 governi hanno deciso di muoversi con largo anticipo per indagarne possibili problematiche o benefici.

Il dossier

La nota inviata alla Commissione chiede siano valutate questioni etiche, economiche, sociali e ambientali, oltre che nutrizionali, di sicurezza sanitaria, di sovranità alimentare e di benessere animale”, prima di procedere a un dibattito legislativo su una futura liberalizzazione di questi prodotti.

In particolare, per quanto riguarda le questioni etiche, i 12 chiedono se una possibile autorizzazione alla produzione e vendita della carne coltivata sia coerente con il divieto europeo posto alla macellazione di animali clonati o alla vendita di carni trattate con ormoni e se la carne coltivata possa comportare un effettivo miglioramento delle condizioni degli animali, rispetto all’allevamento tradizionale.

Sull’impatto economico, la nota chiede di spiegare se ci sarà una salvaguardia dell’allevamento nelle zone rurali, come verrà tenuta sotto controllo la possibile creazione di monopoli sul mercato e come si agirà per prevenire possibili dipendenze estere del settore. A questo si collega l’interrogativo di come garantire l’accesso ai prodotti derivati dall’allevamento tradizionale a tutti i consumatori e le consumatrici, senza innescare diseguaglianze.

E poi il gruppo vuole sapere quali misure debbano essere prese per evitare rischi per la salute e garantire la sicurezza della tecnologia di coltivazione cellulare, a quali attuare per garantire la massima trasparenza dei processi produttivi ai consumatori e a quali tutele siano già previste dalla legislazione europea sui novel food, rispetto ai possibili rischi dovuti alla carne coltivata.

Consumo di energia

Infine, la nota affronta il tema della sostenibilità ambientale, chiedendo quale sia l’effettivo consumo energetico, e quindi l’impatto ambientale, dei laboratori necessari alla coltivazione della carne e come “possiamo mantenere le praterie e le pratiche agricole estensive, anche nelle zone svantaggiate e di montagna, che forniscono servizi ambientali fondamentali come lo stoccaggio del carbonio, senza il bestiame”.

L’ultima domanda è particolarmente controversa, date le altissime emissioni prodotte dagli allevamenti di bestiame in tutta l’Unione europea. Inoltre, l’azione delle istituzioni europee per limitare l’impatto ambientale di questo settore riguarda gli allevamenti intensivi, non quelli piccoli presenti nelle zone montane.

La Commissione ha comunque accolto la nota con favore, in quanto non rappresenta una richiesta di cambiare le regole attuali, scavalcare il ruolo dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) o imporre divieti. Al contrario punta a “prendere in considerazione queste domande e i risultati delle discussioni che si terranno tra gli stati membri e la società civile, prima di prendere qualsiasi decisione”. Una formula molto più moderata e dialogante rispetto ai proclami che abbiamo sentito fino a oggi in Italia.

Fonte : Wired