La lotta quotidiana di un caregiver, accanto al paziente ma trascurato dai medici

Vi è mai successo di sentirvi ignoranti? Ma non nel senso di un po’ a disagio perché un tema lo conoscete solo superficialmente, io dico proprio in difficoltà perché, nonostante voi aveste palesato di non conoscere, dall’altra parte avevate un interlocutore che vi ha messo a disagio per la vostra ignoranza manifesta. A me sì.

Ma quante sono le cose da sapere? Quante le professioni diverse? Quanti gli ambiti in cui una conoscenza approssimativa non può essere sufficiente? Troppi. Per questo ci sono i professionisti ai quali fare affidamento. Giusto? Giusto.

In questo periodo della mia vita mi sento ignorante come mai prima d’ora. Giusto? Giusto, ma. E questo “ma”, almeno per me, ha un peso insostenibile. Per problemi di salute di una persona a me vicina mi sto confrontando con dottori, dottoresse, infermieri e infermiere di vari ambiti e il dialogo con alcuni di loro mi lascia spesso svuotata, arrabbiata e con più domande di quante ne avevo prima di iniziare la conversazione. Quegli negli ambiti medici sono mestieri difficili, che portano le emozioni agli estremi. Io da sempre ho saputo che mai avrei potuto farli e quindi provo grande ammirazione per chi mette la propria vita al servizio dei malati. Quindi grazie (e questo lo sottolineo perché non ci devono essere fraintendimenti). Ma qui si torna al ‘ma’ precedente che riguarda il sentirsi ignorante. 

Essere caregiver e combattere con l’insostenibile pesantezza dell’ignoranza

Spesso i pazienti dei medici sono poi seguiti nelle quotidianità da familiari che non sanno nulla delle patologie e delle complicazioni che queste possono portare. È quindi necessario che queste persone, in termini tecnici chiamati ‘caregiver’, abbiano gli strumenti per poter svolgere il loro ruolo il più serenamente possibile. Giusto? Giusto, credo. Alcuni di loro, magari, non hanno la minima idea di cosa questo comporti e si trovano in difficoltà soprattutto all’inizio del percorso di cura e nei momenti di crisi. Queste figure in molte occasioni non sono considerate, da chi è del mestiere, come persone che si preoccupano forse più del normale e che vivono la malattia di chi amano come se fosse anche la loro. La necessità di conferme, almeno per la mia esperienza, è di frequente interpretata come superflua e anche un po’ irritante. E parlando ancora in prima persona spesso mi è capitato di essere guardata come se non capissi solo perché ho fatto una domanda in più. Di ricevere risposte dal tono palesemente scocciato perché preoccupata per episodi che ritenevo preoccupanti, e che poi, purtroppo, lo erano davvero. Di sentirmi dire “non siete sole” quando l’unico mezzo di comunicazione è la mail alla quale poi seguirà una risposta per chiamata che non sarà mai esaustiva per quanti dubbi che ho.

Ciò che però nessuno si è mai stancato di dirmi è di non farmi sentire preoccupata, di non piangere di fronte a chi sta male davvero. “Eh ma se fa così non è d’aiuto”. No certo, io sono solo un accessorio, un prolungamento del foglio di dimissioni. Però io, il caregiver, sono anche quella persona che sa tutti i farmaci che il paziente assume, i giorni degli interventi, degli accessi al pronto soccorso, che sa dove trovare i famosi fogli con le prescrizioni e le indicazioni che lei ha letto, ma che non sempre i medici consultano e infatti lei è lì presente per spiegare – nel caso in cui il familiare non sia in grado – le patologie e le complicazioni. Il caregiver scrive, chiama, manda mail, sposta appuntamenti, pensa a preparare pasti che siano equilibrati, fa la spesa e soprattutto ama. Il tutto, spesso, viene fatto per una persona che prima della malattia era autosufficiente. Un carico emotivo e fisico non indifferente e di cui al medico non deve importare nulla, ma il rispetto dei ruoli deve essere reciproco.

Forse sono solo stata ‘sfortunata’, ma in più occasioni mi sono posta delle domande. È giusto da parte di un professionista rispondere in malo modo quando dall’altro lato c’è una persona che è ignorante in materia e fa domande per capire? E io ho il diritto di essere ignorante e di chiedere, a chi ne sa più di me, per imparare? È giusto che si diano per scontate informazioni che non possono essere scontate se dall’altro lato si ha una persona che non lavora nell’ambito sanitario? Quanto le mie ricerche e la mia necessità di essere curiosa possono prendere il posto di anni di studi ed esperienza? Poco e nulla secondo me, ma non solo secondo me. Ma certamente anch’io sto costruendo la mia esperienza e oggi non chiederei mai per avere delucidazioni su questioni già sviscerate.

Ci sono però delle meravigliose eccezioni e quando mi imbatto in loro, perché sì ci sono, non posso non commuovermi, provare estrema gratitudine e ringraziarli perché non mi fanno provare quell’insostenibile pesantezza dell’ignoranza.

Una legge per il caregiver familiare

Sono circa 9 milioni i caregiver in Italia, ma questo dato si riferisce all’indagine ISTAT sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea” del 2015. In media, quindi, il 16,4% della popolazione – circa 8,5 milioni di persone, a fronte di una media UE del 15,6% – si occupa di assistere un soggetto che ne ha bisogno, prevalentemente a livello familiare (circa il 14,9%, quasi 7,3 milioni). Dati più aggiornati dell’Istat, riferiti al 2016 e pubblicati nel 2022, offrono una panoramica su quanto sia aumentata la quota di caregiver (ovvero “persone che hanno dato almeno un aiuto gratuito a persone non coabitanti nelle quattro settimane precedenti l’intervista”), dal 1998 al 2016. L’aumento è di “oltre dieci punti percentuali, passando dal 22,8 al 33,12 per cento, coinvolgendo quasi 17 milioni individui nel 2016”.

Al momento queste figure sono praticamente invisibili, solo la legge 104 del 1992, normativa che fa da riferimento per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap, offre agevolazioni in ambito lavorativo e alcuni bonus danno un piccolo sollievo economico. Ma la necessità che venga istituita una legge statale che vada, prima di tutto, a riconoscere formalmente la figura di caregiver è stringente. È del 17 gennaio la notizia dell’insediamento del “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”, istituito dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli e dalla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone. Il tavolo avrà sei mesi di tempo per “formulare proposte ai fini della elaborazione di un disegno di legge volto al riconoscimento del ruolo svolto dal caregiver familiare, individuare e quantificare la platea, anche diversificata, dei beneficiari di una legge statale sui caregiver familiari, individuare il ruolo del caregiver all’interno di un sistema integrato di presa in carico della persona con disabilità”.

“L’obiettivo – ha illustrato la ministra Locatelli – è arrivare presto a una cornice normativa con una proposta che possa offrire sollievo, anche con agevolazioni fiscali, e accompagnare in particolare i compiti di cura dei caregiver familiari conviventi. È arrivato il momento di unire le diverse prospettive sul tema e garantire un percorso univoco e condiviso in modo trasversale”. Meglio tardi che mai, è l’unico commento possibile al momento.

Fonte : Today