Le proteste degli agricoltori stanno gradualmente arrivando alla loro fase più acuta in molti paesi europei. L’assedio di Parigi è lo slogan minacciato dagli agricoltori francesi, in Germania i porti nel nord del paese sono bloccati. In Italia si sono registrati momenti di tensione con le forze dell’ordine a Orte; a Catanzaro un uomo è morto in auto per un malore mentre era bloccato nel traffico creato dai trattori. A Viterbo alcuni manifestanti hanno bruciato le bandiere della Coldiretti, la maggiore associazione di categoria agricola italiana.
Una rabbia rurale le cui caratteristiche più evidenti sono la sua diffusione quasi simultanea in gran parte del cuore dell’Europa e la forte dimensione anti-europeista. Tra il Green Deal e il settore agricolo c’è una frattura dovuta ai vincoli ambientali che hanno e avranno un impatto importante per il secondo: la revisione dei sussidi al settore, la messa a riposo dei terreni per salvaguardare la biodiversità, la riconversione ad agricoltura biologica (entro il 2030), la limitazione dell’uso di pesticidi. Politiche giudicate troppo “green” troppo in fretta, una scure per le tasche del settore.
Le ragioni delle proteste non sono però totalmente uniformi. Le specificità del settore primario nei singoli Paesi hanno la loro importanza, e perdere di vista le motivazioni legate ai governi nazionali significa collocare la rabbia di agricoltori e allevatori in un quadro molto poco preciso.
Il buco di bilancio nelle casse tedesche
In Germania, molte delle grane per il settore agricolo derivano dal buco di bilancio di circa 60 miliardi emerso a seguito della sentenza della Corte Costituzionale tedesca. Un buco che il governo Scholz vuole sanare (anche) tramite duri tagli alle sovvenzioni e rincari fiscali, molti dei quali colpiranno proprio l’agricoltura. Il governo è dunque al primo posto nel mirino dei manifestanti, la cui strategia si è concentrata sul bloccare l’accesso alle banchine di molti dei porti del nord del paese.
Olanda, gli allevamenti intensivi al centro
Per gli agricoltori olandesi il motivo della rabbia è in primo luogo la direttiva europea che mira a ridurre drasticamente le emissioni di azoto di cui sono responsabili gli allevamenti intensivi, in cima alla lista dei settori produttivi in Olanda. Più di 3.000 allevamenti potrebbero chiudere, e a placare la rabbia non sono sufficienti gli indennizzi da un miliardo e mezzo di euro stanziati dal governo. In Olanda la rabbia è stata catalizzata in gran parte dal “Partito dei contadini”, assorbito dal partito di destra del controverso Geert Wilders.
Romania e Polonia contro l’Ucraina
La rabbia degli agricoltori polacchi e romeni si scaglia contro i prodotti agricoli provenienti dall’Ucraina. Dopo l’invasione russa, l’Ue ha infatti ha cancellato una serie di dazi e misure che limitavano l’importazione di prodotti agricoli (soprattutto grano) provenienti da Kiev, per sostenere la sua economia. La rimozione di questi dazi sta però mettendo difficoltà i produttori di cereali locali di Romania e Polonia.
Francia e Italia, il diverso ruolo della rappresentanza
In Francia le proteste si sono concentrate dall’inizio sul mantenimento dei sussidi per il gasolio, che il governo di Parigi voleva tagliare. I recenti incontri tra il neo Primo ministro Attal e delegazioni degli agricoltori non hanno dato esiti ritenuti soddisfacenti, e la rabbia dei “trattori” francesi continua a infuriare coordinata dai due principali sindacati: la Federazione nazionale dei sindacati degli agricoltori (Fnsea) e i Jeunes agricultueurs (JA).
Anche in Italia le ragioni della protesta risiedono principalmente in un livello di retribuzione giudicato inadeguato e nel ricollocamento dei sussidi. La protesta sembra però avere una dimensione più autonoma, con un coordinamento molto meno presente a livello sindacale. Il movimento Riscatto Agricolo, che si professa autonomo, spontaneo e apolitico, è ad esempio il soggetto che ha annunciato le maggiori iniziative nei prossimi giorni. L’episodio della bandiera bruciata da Coldiretti parla da sé di una frattura tra agricoltori e associazioni di rappresentanza. A trainare le proteste c’è poi anche Danilo Calvani, piccolo imprenditore leader del “Comitato agricoltori traditi”, che aderì alle proteste dei cosiddetti “Forconi”, movimento di agricoltori, autotrasportatori e pescatori che protestavano contro l’allora governo Monti.
“Le grandi confederazioni agricole ci hanno tradito – ha dichiarato pochi giornio fa Calvani – Una delle ragioni principali della nostra mobilitazione è proprio contro di loro. Speriamo vengano azzerate e commissariate. Si sono sedute e prostrate ai diktat. I loro capi prendono stipendi milionari all’anno e noi stiamo morendo di fame”.
Fonte : Today