Ho fatto un anno di servizio militare nell’esercito. In tutte le caserme e in tutti gli uffici c’era, come oggi, la fotografia del presidente della Repubblica. Di lui era obbligatorio conoscere il nome, oltre a quello del proprio comandante. Nessuno poteva permettersi di dire pubblicamente: ”Non è il mio presidente”. Anche la formula di giuramento, tuttora in vigore, richiamava la fedeltà costituzionale. Qualcuno, è vero, storpiava la promessa ”lo giuro” in un grido scurrile. Ma eravamo ragazzi. Militari di leva prestati alla divisa. E, inquadrati in lunghe file il giorno del giuramento, l’offesa alla Costituzione non si sentiva.
È invece grave che un carabiniere arruolato a tempo indeterminato, durante un servizio di ordine pubblico a Milano, abbia pubblicamente detto queste parole, a una manifestante che gli chiedeva di Sergio Mattarella: “Con tutto il rispetto, signora, non è il mio presidente. Io non l’ho votato, non l’ho scelto io, non lo riconosco”.
A parte l’ignoranza: in Italia il presidente della Repubblica non viene eletto dai cittadini, ma dal Parlamento a camere riunite. La domanda che ci dobbiamo porre è un’altra: quanti sono i militari professionisti che non si riconoscono nell’attuale Costituzione repubblicana?
La popolarità ottenuta dal generale Roberto Vannacci dovrebbe farci riflettere. Oltre all’italiano scritto, probabilmente non all’altezza di un difensore della cultura nazionale, il suo famoso libro fa a pezzi diversi articoli della Costituzione. Avere le proprie idee o aspirare a una repubblica presidenziale, come sono gli Stati Uniti, non è ovviamente reato. Ma fin tanto che l’ordinamento è questo, nessun militare in servizio, in divisa, in una funzione pubblica, può disconoscere il presidente della Repubblica, che è il capo dello Stato e il garante dell’unità nazionale.
Bene ha fatto il comandante generale dell’Arma, Teo Luzi, a destinare il carabiniere ad altro servizio in attesa del procedimento disciplinare e penale. Nemmeno la riforma proposta dal governo di destra in carica, attraverso il ministro Maria Elisabetta Alberti Casellati, si spinge all’elezione diretta del capo dello Stato, limitando questa opportunità al presidente del Consiglio. Anche la premier Giorgia Meloni conosce evidentemente i rischi di un Donald Trump all’italiana. A cominciare dall’eventuale discorso di insediamento: perché pur avendo ”suon di politici e di intellettuali” (sono parole di Vannacci), sbagliare è umano ”ma – lo scrive sempre Vannacci – imperversare è diabolico”.
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Fonte : Today