Questa intervista fa parte di una serie di conversazioni con creativi e professionisti che si misurano, ormai ogni giorno, con i vantaggi e i limiti dell’intelligenza artificiale
Alla guida del laboratorio Molecular Modeling and Drug Discovery dell’Istituto Italiano di Tecnologia e anche responsabile di Scienze computazionali, uno dei 4 domini in cui IIT è diviso, Marco De Vivo è prima di tutto un chimico. E da qualche anno a questa parte usa più computer e intelligenze artificiali che miscelatori, centrifughe, alambicchi e provette per scoprire nuove sostanze e nuovi farmaci.
Dopo la laurea e il dottorato, ha passato oltre 5 anni negli Stati Uniti come ricercatore nel mondo accademico (alla University of Pennsylvania) e a Yale nel settore biotech (in Rib-X Pharmaceuticals, oggi Melinta Therapeutics). È tornato in Italia a metà 2009, ha fondato due startup per lo sviluppo di medicinali, una per la cura del cancro e una per i disordini del neurosviluppo, e si è unito a IIT per fare quello che sa fare meglio: “Applico le scienze computazionali per capire i processi biologici e biochimici” che sono alla base delle malattie. Da lì, lui e il suo team creano le cosiddette piccole molecole (amminoacidi, lipidi, zuccheri, acidi grassi, alcaloidi e così via), combinandole poi insieme appunto per creare nuovi farmaci.
Li create usando le capacità di calcolo dei super computer e l’intelligenza artificiale. Esperimenti non ne fate più?
Facciamo entrambe le cose, perché le scienze computazionali e le capacità umane si combinano: continuiamo a fare esperimenti e test, che è una cosa da cui non si può prescindere, ma molti vengono prima simulati al computer, così da potersi concentrare solo su quelli che potrebbero dare risultati, quelli più promettenti e con maggiori probabilità di successo.
Concretamente, quali sono i vantaggi dell’uso delle IA nell’industria farmaceutica?
Per fare un esempio pratico, è come progettare un ponte (che è una cosa molto più semplice rispetto a quella che facciamo noi) potendo simulare se starà in piedi prima di provare a farlo stare in piedi. Ci sono sensibili vantaggi dal punto di vista dei tempi e dal punto di vista dei costi: si evita di investire risorse in esperimenti che fallirebbero.
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Perché le IA sono così utili?
Il segreto di tutto è il machine learning (qui avevamo spiegato cos’è, ndr), uno strumento in più, un modo in più per analizzare e capire i dati che si hanno a disposizione: in tanti campi diversi, dalla genetica alla medicina, dalla chimica alla biologia, le IA sono in grado di analizzare enormi quantità di dati e di trovare connessioni anche impensabili per la mente umana.
Con connessioni si intende combinazioni di molecole che potrebbero dare vita a farmaci utili per l’uomo, ma perché tutto questo succede adesso?
Succede adesso, inteso come da qualche anno a questa parte, perché si sono verificate adesso e tutte assieme 3 condizioni ideali: abbiamo una grande quantità di dati, talmente vasta che le persone faticherebbero ad analizzarla senza un aiuto informatico, abbiamo dati di grande qualità e abbiamo finalmente la potenza di calcolo necessaria per gestire queste informazioni.
C’è un anno che possiamo indicare come punto di svolta?
Quello fondamentale è stato senza dubbio il 2021, quando Google e DeepMind hanno rilasciato AlphaFold, un enorme database di circa 200 milioni di proteine in 3D: si è capito che le IA erano molto brave anche nel predire e immaginare strutture proteiche che potessero stare insieme, funzionare ed essere efficienti. È stato un passo avanti incredibile, che ha lasciato indietro tutti i competitor. Chiunque può partire dal database (che è questo, ndr) per provare a combinare molecole, cercando di simularne e capirne il funzionamento.
In tutto questo, la professionalità umana dove si inserisce?
Secondo la mia esperienza, il machine learning avrà sempre più un impatto positivo sulla scienza e sulla ricerca, soprattutto per aiutare a capire le cose più velocemente ma ci sono almeno due aspetti in cui le persone restano e resteranno fondamentali.
Quali sono?
Innanzi tutto, serve tempo per avere i dati di qualità di cui parlavo prima, perché è necessario che siano uniformati e inseriti in database che le macchine possano studiare. E questo lavoro di cura va fatto dalle persone.
E l’altro aspetto qual è?
Vedo un grande e comprensibile ottimismo sull’uso del machine learning ma l’intervento umano, la creatività, la capacità di avere l’intuizione giusta al momento giusto, resteranno a mio parere sempre fondamentali. Ripeto: il machine learning è uno strumento utile, ma va applicato nel modo corretto e al problema giusto.
In che senso?
Resto convinto che sia una cosa buona se capito e compreso, ma non può essere la soluzione a tutto e non dobbiamo esagerare con le aspettative. Anche se è innegabile che ci abbia permesso e ci permetterà di andare oltre i limiti che avevamo e che ancora abbiamo: siamo in possesso di tantissimi dati, è il momento di usarli e di approfittarne.
A proposito di questo: Meta ha annunciato che investirà miliardi di dollari per lo sviluppo di una sua nuova IA. Sono tantissimi soldi. Quanto è costoso approfittare di questi strumenti?
Nel 2020, IIT ha investito poco meno di 3 milioni di euro per realizzare Franklin, un cluster di 300 GPU usato per fare questi lavori, che aiuta sia i ricercatori dell’istituto sia alcune startup interne a IIT, come la mia IAMA Therapeutics. Facendo ricerca a livello atomistico con l’uso del machine learning, siamo arrivati alla fase di sperimentazione clinica in modo immensamente più veloce e con pochissimi esperimenti. Abbiamo risparmiato molti anni e molti soldi.
Ma tutta questa potenza di calcolo è davvero necessaria?
Sì, senza dubbio: secondo stime, ci sarebbero circa 10 alla 60 possibili combinazioni di molecole (per contesto: 10 alla 12 è 1000 miliardi, ndr) e una IA è in grado di esplorare tutte queste possibilità e di navigare nel cosiddetto Spazio chimico a una velocità impensabile per un essere umano. E quando trova qualcosa di utile per risolvere il problema che ha davanti, il ricercatore può poi fare un esperimento e verificare.
E il ricercatore? Come si modificherà questo ruolo in futuro?
Nel mondo del lavoro ci sarà senza dubbio un cambiamento, uno spostamento verso le scienze legate ai dati, verso ruoli come il data scientist o il data warden, fondamentali per avere i dati di qualità di cui si diceva prima e su cui c’è già molta richiesta anche da parte dei più giovani.
Ma non rischiamo di vedere cancellata questa professione?
Penso di no, perché comunque non si può prescindere dalla scienza sperimentale e dagli esperimenti. Magari ci saranno robot ricercatori ma ci sarà sempre qualcuno che dovrà insegnare a questi robot come agire, come si lavora, come si fa ricerca. Le IA sono perfette per capire rapidamente a quali esperimenti dare la priorità, quali fare e quali no, ma come un abito davvero buono lo fa il sarto, un farmaco davvero di qualità lo fa la sensibilità umana.
Fonte : Repubblica