Caterina Venieri, fisico delle particelle a Stanford: “Faccio ricerca per scoprire come tutto è nato”

“Sono sempre stata affascinata dalla domanda fondamentale: da dove veniamo? Non sapevo che per trovare la risposta occorrevano decenni. Ma ho imparato a godermi il viaggio”.

Fisico delle particelle, lavora al laboratorio americano Slac, il Centro per Acceleratori Lineari di Stanford. Il suo gruppo sta costruendo un nuovo modello di rivelatorI di particelle che verrà inviato al Cern di Ginevra nel 2029.
 

Segni particolari? È donna, ha appena 35 anni e un ruolo di responsabilità in questo grandioso progetto. La sua formazione è stata tutta in Italia all’Università di Pisa. Ed è una “role model” per una nuova generazione di fisici. Si chiama Caterina Vernieri, è Assistant Professor di fisica delle particelle a Stanford e questa straordinaria carriera l’ha costruita da sola. Grazie alla sua voglia inesauribile di sapere e imparare.

Si è specializzata sul Bosone di Higgs, la particella che dà massa a tutte le altre. Ma poi è andata oltre. Ha messo insieme fisica e tecnologia. E una volta arrivata in Silicon Valley, nel suo tempo libero, ha avuto l’idea di un nuovo acceleratore delle particelle, più piccolo e compatto, basato su una nuova tecnologia sviluppata a Slac, che lo scorso dicembre è entrata nella road map del Dipartimento dell’Energia Americano come una di quelli su cui investire nei prossimi 10 anni. Ha ricevuto premi e riconoscimenti come l’Early Career Award.

“La mia passione per la fisica non è stata pianificata. I miei genitori non sono andati all’università, in famiglia non avevo riferimenti scientifici, ma ne sentivo la mancanza. Così mi sono messa alla ricerca di ispirazione. Ho sempre cercato di capire cosa volessi fare da grande. Ero avida di sapere”.

Liceo scientifico a Salerno. In matematica è fortissima, ma il consiglio di un professore le indica la strada. “Mi disse: rivolgi il tuo sguardo alla fisica più che alla matematica. È meno astratta, potresti fare esperimenti per nuove teorie”.
Da Salerno va all’Università di Pisa. Si iscrive a fisica, immaginando di andare a insegnare. Ma la passione è forte, la ricerca di modelli da cui imparare ancora di più. Sogna e cerca l’America. Durante il terzo anno della triennale, scopre un programma dell’università di Pisa con il Fermilab di Chicago. È una summer school di due mesi. “Ero alla mia prima esperienza, mi aspettavo di non contare nulla. Ma alla fine del primo meeting con il gruppo di ricerca, si sono rivolti a me: “e tu che ne pensi?” Questa cosa mi ha responsabilizzato completamente. Mi sono detta: vogliono che io abbia un’opinione e che la manifesti. Questo è stato un empowerment potentissimo”.

Lì si innamora della fisica delle particelle. Poi torna a Pisa, fa master e dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Per la tesi di dottorato va al Cern di Ginevra, laboratorio europeo di fisica delle particelle, ci resta per un anno. Lavora al Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle più grande del mondo utilizzato per ricerche sperimentali, lungo100 km. “È stata un’esperienza bellissima, quando sono arrivata nel 2012 avevano appena trovato il Bosone di Higgs. C’era tantissimo fermento. Facevo parte di un esperimento estremamente complicato in cui erano coinvolti 3mila collaboratori di diversa esperienza. Tanti scienziati intorno al mondo che collaborano insieme e creano idee nuove per rispondere alla domanda fondamentale: da dove veniamo? Questo esperimento è come un’enorme macchina fotografica che fa fotografie alle collisioni dei protoni e quei dati ci aiutano a capire meglio la nostra origine”.

In quella occasione, Caterina impara un’altra grande lezione di vita. “La contaminazione genera creatività, idee più nuove. E persone con competenze diverse, unite da uno scopo comune, posso raggiungere qualsiasi risultato”.

Trascorre un anno al Cern, torna a Pisa per la tesi di dottorato che discute il 28 ottobre, ma nel suo cuore c’è ancora quella sensazione provata al Fermilab. Il 2 novembre è già di nuovo a Chicago. Posizione: ricercatrice. Ci resta per 4 anni. Qui si concentra sulle tecnologie che permettono di costruire queste enormi camere fotografiche. Unisce la fisica con la tecnologia. Poi decide di cercare lavoro in California. Viene presa allo Slac. “È un altro laboratorio nazionale americano come il Fermilab, con il progetto molto ambizioso di costruire un nuovo rivelatore che verrà installato nel 2029. Quando il Large Hadron Collider di Ginevra non riuscirà più a prendere i dati, faremo un upgrade, sostituiremo parte delle camere, come se fosse un nuovo modello di iPhone, con una telecamera a più giga. Potremo avere immagini più precise delle collisioni e aumentare il nostro potenziale di scoperta di nuove particelle o di studiare con più precisione le proprietà del Bosone di Higgs”

In questo nuovo progetto, Caterina ha un ruolo di responsabilità e fa cose “che a fisici della mia generazione raramente capita”.

Da cinque anni, vive a San Francisco e contaminata dall’aria ambiziosa della Silicon Valley inizia a chiedersi: che cosa posso fare per la società? Quale può essere il mio ruolo? Così nel suo tempo libero, con un collega sviluppa l’idea di un futuro acceleratore che fa leva su nuove tecnologie, sviluppate a Stanford negli ultimi 10 anni, che potrebbero permettere di costruirne uno più piccolo, più compatto, di 8 chilometri, che abbia meno impatto sull’ambiente e anche più economico da utilizzare.

“Fisica e tecnologia rispondono alle domande più difficili e le loro applicazioni possono essere utili per la vita di tutti i giorni. Internet è nato perché il Cern stava crescendo, c’erano collaboratori internazionali che dovevano trovare un modo per scambiarsi informazioni. Era il 1989: il web è nato per questo e ha rivoluzionato la vita di tutti noi. Anche le macchine diagnostiche che vengono utilizzate in campo medico risentono dei molti progressi fatti nel campo della fisica delle particelle”.

Poi per spiegarti il Bosone di Higgs, Caterina parla di perseveranza e di tutto quello che ha imparato.
“Quello che studio e quello che faccio definisce gran parte di chi sono. Il Bosone di Higgs è stato il mio campo principale di studi, ma mi ha tanto insegnato anche al di là della fisica. È la risposta alla perseveranza. Peter Higgs ha teorizzato questa particella nel 1962 a margine di un articolo che aveva scritto. Nelle ultime due righe, diceva che il meccanismo che dava massa alle particelle era questo Bosone, semplice ed elegante. Su questo hanno lavorato scienziati di tutti i paesi del mondo, i governi hanno finanziato e investito in ricerca.  Per questo è stato costruito il Large Hadron Collider, un acceleratore di particelle all’avanguardia per quei tempi. Abbiamo sviluppato un sacco di algoritmi con uso avanzato di Intelligenza Artificiale. Il Bosone di Higgs ha galvanizzato questa comunità per 20 anni”.

Ragazzina appassionata di Super Quark. Leggeva le storie di Rita Levi-Montalcini e di Margherita Hack. “La vita di queste donne mi ha ispirato moltissimo. Sono sempre stata colpita dalle domande fondamentali per cercare di capire la natura. Non sapevo all’epoca che ci vogliono decenni per trovare le risposte, ma oggi ho capito che alla fine quello che conta è il viaggio”.

Cosa hai imparato lungo la strada?
“Che sperimentare significa fare errori. Ho iniziato a godermi appunto il viaggio. E se faccio errori di valutazione, ho imparato a perdonarmeli. L’errore è parte del progetto scientifico. Si sbaglia per andare avanti”.

In Italia?  “Non tornerò. Non per il momento. Slac e Stanford hanno investito su di me e non posso rientrare. Se fossi rimasta in Italia cosa mi sarebbe successo?  Non avrei avuto queste opportunità. Non solo perché in Italia non si investe tanto nella ricerca di base, ma anche perché forse non si crede nelle persone giovani come me. Ma devo dire grazie.  L’Italia ha grandissima università. La nostra formazione non è seconda a nessuno. Nel mondo c’è tanto rispetto per la fisica italiana. Che forma un capitale intellettuale enorme, che però purtroppo perde. Io me ne sono andata nel 2014, magari le cose oggi sono cambiate…”.

Fonte : Repubblica