5 film per ricordare la Shoah che forse non conoscete

Mai come in questo periodo dell’anno il cinema diventa custode della memoria collettiva e di orrori perpetrati dall’uomo su un altro uomo. Dal 27 gennaio 1945, giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz liberando i prigionieri e scoprendo gli orrori del nazismo, sono passati 79 anni e col passare del tempo la settima arte ha saccheggiato (nel senso buono del termine) quelle vicende, quelle storie, creando un vero e proprio genere cinematografico oggi riconosciuto come un filone narrativo a sé stante. Il Giorno della Memoria è l’occasione per riguardare capolavori, grandi e nuovi film legati da un messaggio: far sì che quella tragedia non si ripeta mai più anche se è difficile, visti i tempi che corrono, dire che sia stato recepito.

Ma al di là dei classici Schindler’s List, La vita è bella, Il pianista o La scelta di Sophie, titoli di tutto rispetto, oggi vi proponiamo cinque film sull’Olocausto che raramente compaiono nelle liste sull’argomento. E tutti europei, senza scomodare la cinematografia d’oltreoceano. Sono chicche che, al di là del risultato finale, meritano almeno per un po’ di stare sotto i riflettori accanto alle opere più celebrate. E se invece volete i più classici ecco i nostri 10 film migliori per il Giorno della Memoria.

L’oro di Roma di Carlo Lizzani (1961)

All’alba del 16 ottobre 1943, a Roma, 1259 ebrei furono deportati da truppe tedesche appartenenti alle SS. Molti di questi trovarono l’inferno di Auschwitz davanti a sé. Finita la guerra, solo 16 di questi tornarono a casa. Il rastrellamento del ghetto ebraico della Capitale, e un episodio in particolare, fa da sfondo al film L’oro di Roma di Carlo Lizzani del 1961. Non è la prima volta che il regista romano, tra i nomi più importanti della cinematografia italiana del dopoguerra, si confronta sull’argomento e da testimone oculare dei cambiamenti economici, sociali e politici nonché partigiano nell’animo, si fa portavoce di quei giorni così concitati per la popolazione. La trama isola e racconta delle richieste del maggiore Kappler, che ordina agli ebrei romani di consegnargli cinquanta chilogrammi di oro in cambio della libertà.

La comunità si organizza, ma il giovane calzolaio David vorrebbe ribellarsi e imbracciare le armi. Giulia, figlia di un professore semita, potrebbe avere salva la vita se solo sposasse lo studente cattolico di cui si è innamorata, ma così facendo tradirebbe le sue origini. Dopo la consegna dell’oro i tedeschi tradiscono ogni promessa. Lizzani si muove tra corale e privato, dalla storia di un popolo sfuma alla storia individuale e viceversa. È una valida ricostruzione di uno degli episodi più tragici del conflitto, una di quelle opere che merita una visione più che per meriti artistici (perché non di rado scivola nella retorica) per il valore intrinseco di custode della memoria di un episodio che meritava di essere conosciuto.

Paesaggio dopo la battaglia di Andrzej Wajda (1970)

Da sempre cantore delle ferite del suo paese, Andrzej Wajda ha una filmografia tutta da riscoprire con molti capolavori riconosciuti a livello mondiale. Il regista polacco qui non entra nella tragedia dell’Olocausto, ma mostra il dopo, una volta liberati gli internati dai campi di concentramento. Basato sulla testimonianza di Tadeusz Borowski, Paesaggio dopo la battaglia del 1970 racconta di un gruppo di sopravvissuti che una volta liberati vengono portati dagli americani in una caserma per ricevere le cure necessarie. Tra di loro vi è l’intellettuale polacco, Tadeusz, indeciso se ritornare in patria a causa del dilagare del comunismo. Lì si innamora dell’ebrea, Nina, ma il finale è tragico.

Wajda non ha mai edulcorato le sue storie. Molto spesso si percepisce un’amarezza di fondo, un tono greve ma veritiero e con questo film non si smentisce. È il suo stile a rendere evocativo e riflessivo tutto ciò che racconta e chi non lo conosce potrebbe lì per lì marchiarlo come spicciolo intellettualismo. Ma tra questo, Cenere e diamanti e I dannati di Varsavia, Wajda è da considerare un vero maestro della settima arte, capace di sequenze memorabili che in pochi frame trasmettono una dolorosa e a volte insopportabile drammaticità. Da storia del cinema l’incipit con le “Quattro stagioni” di Antonio Vivaldi come colonna sonora.

La niña dei tuoi sogni di Fernando Trueba (1998)

Un vero peso massimo della cinematografia spagnola, ma sconosciuto ai più nonostante la candidatura all’Orso d’Oro nel 1999 e i sette premi Goya vinti nello stesso anno. Ispirata a un fatto realmente accaduto, quest’opera guarda alle atrocità del nazismo e in particolare alla famosa “Notte dei cristalli” attraverso gli occhi di una troupe cinematografica arrivata in Germania per girare la versione tedesca di un dramma musicale. Giunti al cospetto del Ministro per la Propaganda Joseph Goebbels, ne scopriranno la subdola ospitalità, soprattutto Macarena, la stella del film, che farà innamorare il gerarca nazista.

Non è raro tra i film sull’Olocausto trovarne qualcuno che sceglie i toni della commedia senza tuttavia dimenticare il dramma di chi le follie naziste le ha vissute sulla propria pelle. E tra i film da riscoprire in questo Giorno della Memoria, lo spagnolo La niña dei tuoi sogni è una chicca più che apprezzabile (se non altro per la storia) con una giovane e brava Penélope Cruz nel ruolo della protagonista. Non sempre l’equilibrio tra commedia e dramma si stabilizza su di un piano equo per entrambi i generi e osare un po’ di più avrebbe solo giovato al risultato finale, ma che la storia meriti di essere riscoperta non c’è alcun dubbio.

Senza destino di Lajos Koltai (2005)

Forse il titolo più conosciuto, ma tra i film sull’Olocausto è sempre sovrastato dai “colleghi” più famosi e mainstream. Coprodotto da Germania, Ungheria e Regno Unito e tratto dal libro Essere senza destino del Premio Nobel Imre Kertész, che qui ricopre anche il ruolo di sceneggiatore, racconta la storia del giovane Gyurka, ragazzo ebreo che vive a Budapest con la sua famiglia. Dopo la deportazione del padre, che morirà nel campo di concentramento di Mauthausen, anche Gyurka verrà prelevato e trasferito prima ad Auschwitz, poi a Buchenwald, a Zeitz e infine nuovamente a Buchenwald.

Dietro al filo spinato Gyurka farà i conti con la vita da lager: lavoro estenuante, igiene inesistente così come il cibo e la possibilità che ogni giorno per lui sia l’ultimo. È un racconto doloroso quello di Senza destino che non lascia scampo. Contribuisce anche la struggente colonna sonora del maestro Morricone e la fotografia che pian piano sfuma perdendo i colori, un simbolo della speranza che si allontana sempre più. Tutt’altro che consolatorio il finale, peggio della morte. Chi ha avuto la possibilità di sopravvivere (perché parlare di fortuna non è proprio il caso) porterà per sempre il marchio delle barbarie naziste.

Quel giorno tu sarai di Kornél Mundruczó (2021)

Tre anni fa, proprio il 27 gennaio, arriva nelle sale italiane Quel giorno tu sarai, una storia sull’Olocausto che si ripercuote su tre generazioni (il marchio citato poco sopra qui calza a pennello), dalla Seconda guerra mondiale alla Berlino odierna. Si parte da Eva, nata in un campo di concentramento, che passa le sue ferite di guerra alla figlia Lena e poi al nipote Jonas. Un punto di vista in realtà diviso in tre e una famiglia ebrea che si ritrova a un bivio: sopravvivere o vivere.

Ognuno dei personaggi ha un proprio modo di vivere la contemporaneità: Eva chiaramente non riesce a scrollarsi di dosso il passato da figlia della guerra, mentre Lena vuole andare avanti. E Jonas, infine, è il prodotto più maturo di questa riflessione consapevole sul valore della memoria e del passato, a patto che non ci si lasci risucchiare dalla sua oscurità. Nessuno dei tre è da biasimare per l’approccio alla realtà e più che raccontare l’Olocausto ne mostra le conseguenze mai svanite in decenni di Storia. Mundruczó aveva anche già affrontato tematiche sociali in un suo precedente film, qui la nostra recensione di Una Luna chiamata Europa.

È sicuramente un’alternativa inconsueta tra le proposte dei film sulla Shoah, un’operazione decisamente riuscita che ha fatto della parola memoria l’elemento chiave della sua ricerca. Pone molte domande e fornisce altrettante opzioni di risposta, spetta a voi immedesimarvi e scegliere quella che meglio si sposa alla domanda: “E io cosa farei?”.

Fonte : Everyeye