OpenAI è stata creata nel 2015 da un gruppo di ricchi imprenditori del settore tecnologico – tra cui anche Elon Musk – come laboratorio di ricerca no-profit con la promessa di coinvolgere la società e il pubblico generale nello sviluppo di potenti sistemi di intelligenza artificiale, a differenza di Google e degli altri giganti tech che lavorano invece a porte chiuse. In linea con questo spirito, fin dalla sua fondazione OpenAI ha dichiarato alle autorità fiscali statunitensi che qualsiasi cittadino americano avrebbe potuto esaminare copie dei suoi atti costitutivi, dei rendiconti finanziari e delle regole dell’azienda sul conflitto di interessi.
Tuttavia, quando il mese scorso Wired US ha richiesto questi documenti, OpenAI ha dichiarato che la sua politica era cambiata e ha fornito solo un rendiconto finanziario che non includeva però la maggior parte delle sue operazioni.
“Forniamo i nostri bilanci quando ci vengono richiesti – ha affermato il portavoce dell’azienda Niko Felix –. OpenAI allinea le proprie pratiche agli standard del settore, e dal 2022 questo prevede di non diffondere pubblicamente ulteriori documenti interni“.
La marcia indietro di OpenAI sul suo storico impegno alla trasparenza occulta di fatto informazioni che potrebbero far luce sulla recente implosione sfiorata da un’azienda che esercita un’influenza cruciale sul futuro dell’AI, oltre che sulle sue vulnerabilità. A novembre, il consiglio di amministrazione di OpenAI aveva licenziato l’amministratore delegato Sam Altman, insinuando in un comunicato che fosse inaffidabile e che avesse messo a repentaglio la missione di garantire che l’AI andasse a “beneficio per tutta l’umanità”. Nel giro di qualche giorno, una rivolta dei dipendenti e degli investitori della società ha però costretto il cda a reintegrare Altman e a espellere la maggior parte dei suoi membri per introdurne di nuovi, che a loro volta hanno promesso di indagare sulla crisi e di attuare cambiamenti strutturali per riconquistare la fiducia degli investitori.
L’accesso alle politiche di OpenAI sui conflitti di interessi potrebbe mostrare quale sia effettivamente il reale potere del cda nei confronti di Altman e delle sue attività esterne, tra cui rientrano investimenti personali in numerose startup che perseguono progetti di intelligenza artificiale e in un produttore di reattori nucleari. Secondo persone coinvolte nella vicenda ma che non sono autorizzate a parlarne, la commistione tra il lavoro quotidiano dell’ad e i suoi progetti personali ha avuto un ruolo nella sfiducia da parte dei membri del consiglio di amministrazione. Nel 2019, mentre Altman era al timone dell’azienda, OpenAI ha firmato una lettera d’intenti non vincolante per acquistare 51 milioni di dollari di chip AI da Rain, una startup in cui lo stesso Altman aveva investito più di un milione di dollari. Ad oggi, OpenAI non ha ancora proceduto all’acquisto dei microchip. Felix sostiene che Altman sia trasparente con il consiglio di amministrazione in merito ai suoi investimenti e si attenga a un processo prestabilito per la gestione dei potenziali conflitti di interessi.
Fonte : Wired