C’è un motivo se la proposta di assegnare la supervisione del settore dell’intelligenza artificiale all’Agenzia nazionale per la cybersicurezza (Acn) ha retto 48 ore, prima di sparire dal pacchetto di norme sulla sicurezza informatica voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e presentato al Consiglio dei ministri di giovedì 25 gennaio. Perché per quel ruolo c’è un altro candidato in corsa, da più parti considerato più adatto. È l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), l’ufficio nato per coordinare la digitalizzazione della pubblica amministrazione, che da mesi è la pedina che intende giocarsi il sottosegretario all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti. Il deputato comasco, arrivato quasi defilato a Palazzo Chigi, è sempre più ascoltato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha voluto mettere il cappello del suo partito sul tema dell’AI.
Fatto sta che il primo tentativo di individuare per legge a quale ente pubblico affidare il delicato compito di vigilare sull’intelligenza artificiale è stato bloccato. La nomina di un controllore del settore è prevista dal regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, l’AI Act, in queste settimane al ciclo di approvazioni finali da parte del Consiglio europeo (2 febbraio, la data previsto) ed Europarlamento (entro aprile).
Il retroscena:
- Come scegliere il controllore
- Il ruolo di Fratelli d’Italia
Come scegliere il controllore
Proprio perché il testo dell’AI Act veleggia verso il voto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, ha spiegato in conferenza stampa che l’assegnazione all’Acn è stata espunta per evitare fughe in avanti. Insomma, un atto di cortesia istituzionale verso Bruxelles, tutt’altro che necessario però. La Spagna ha individuato un’agenzia per la supervisione dell’AI già lo scorso settembre. E lo ha fatto peraltro mentre Madrid aveva le redini della presidenza del Consiglio europeo con il mandato di chiudere l’accordo con il Parlamento sull’AI Act, raggiunto l’8 dicembre.
La fuga in avanti da frenare, piuttosto, è interna al governo. E riguarda l’impianto di controllo sull’intelligenza artificiale a cui Butti sta lavorando. L’AI Act, come emerge dal testo finale che Wired ha visionato, non impone di avere un solo referente, secondo la linea voluta dal Parlamento europeo, ma fa riferimento a varie autorità nazionali delegate. Se si analizzano i modelli applicati in finanza, per esempio, la palla passa agli enti di vigilanza deputati (in Italia sarebbe Consob). E negli articoli dedicati agli usi vietati e alle eccezioni, si menziona il fatto che i garanti nazionali dei dati personali e del mercato debbano spedire ogni anno alla Commissione un rapporto sull’uso dei sistemi di riconoscimento biometrico in tempo reale. In Italia, quindi, un compito a carico del Garante della privacy e dell’Antitrust. E ancora: laddove si menzionano la difesa delle infrastrutture critiche, è naturale cedere il passo all’Acn, che già le vigila sul fronte della cybersecurity.
Il ruolo di Fratelli d’Italia
Insomma, l’AI Act apparecchia una tavola con molti posti a sedere. Ma un padrone di casa ci vuole. Qualcuno che detti i tempi e le priorità, coordini il lavoro e sia un punto di riferimento verso l’esterno. Difficile pensare che il compito possa spettare a una autorità indipendente, come il Garante per la protezione dei dati o quello per la concorrenza e il mercato. Troppo autonomi e svincolati dalla politica, nella visione di Palazzo Chigi, per occuparsi della materia, scrivere regole e impostare gli ambienti di test (le cosiddette sandbox).
Fonte : Wired