La guerra in Ucraina sta per entrare nel suo terzo anno di vita e non si intravede al momento alcuna via d’uscita al conflitto. Ma più che l’andamento dei combattimenti, a preoccupare Bruxelles è quello che potrebbe succedere sull’altra sponda dell’Atlantico, ossia il ritorno di Donald Trump alla guida degli Usa dopo le presidenziali del prossimo novembre.
Se il tycoon newyorkese dovesse installarsi nuovamente alla Casa Bianca nel 2025 (un’eventualità tutt’altro che remota, sondaggi alla mano), l’Europa potrebbe trovarsi senza l’appoggio incondizionato del suo alleato di ferro, Washington, anche dal punto di vista della sicurezza. Già oggi i repubblicani stanno bloccando gli aiuti militari statunitensi all’Ucraina. Con Trump, i Paesi europei dell’Alleanza potrebbero essere costretti a sostenere da soli Kiev. Ma non solo: secondo diversi esperti, Vladimir Putin potrebbe spingersi oltre i confini ucraini, e attaccare direttamente l’Europa. Ecco perché tra le cancellerie Ue la domanda che circola con sempre maggiore insistenza è se, dinanzi a un’aggressione russa, l’Europa sarebbe in grado di difendersi da sola, senza il supporto degli Stati Uniti.
L’incognita Trump
Hanno provato a rispondere a questa domanda i giornalisti del quotidiano di Bruxelles Politico. Le conclusioni a cui sono giunti non sono incoraggianti. Il primo problema è la capacità di spesa in difesa. Nonostante le pressioni degli Usa sotto diversi presidenti (da Barack Obama a Donald Trump) affinché gli europei dell’Alleanza aprissero di più i loro portafogli, arrivando a una spesa militare almeno del 2% del loro Pil, e nonostante quasi due anni di guerra in Ucraina, a oggi sono 12 Stati europei sui 31 della Nato hanno raggiunto questa soglia. L’Italia ha speso meno dell’1,5% nell’anno appena concluso.
Questo significa che per riguadagnare il terreno perduto e ricostruire non solo gli apparati militari ma anche la necessaria base industriale sarebbero richiesti investimenti estremamente onerosi nei prossimi anni. E la volontà politica per sostenerli non è per niente scontata: sia a livello nazionale che, ancor più, a livello europeo, come dimostra il nulla di fatto in cui si sono finora risolte le chiacchiere sulla fantomatica “autonomia strategica” dell’Ue.
Gli arsenali europei
I dati snocciolati da Politico confermano che non c’è competizione tra le capacità militari della Russia e quelle dei Paesi Ue. Nonostante le ingenti perdite subite nei campi di battaglia dell’Ucraina, l’esercito russo conta oltre 3,2 milioni di uomini, con gli effettivi che rappresentano circa la metà (di cui circa 600mila attualmente impegnati sul fronte ucraino), complice la mobilitazione semi-permanente ordinata da Putin. In Ue, invece, dal 1989 al 2022 il numero di soldati è diminuito da 3,4 a 1,3 milioni, anche a seguito dell’abbandono della coscrizione obbligatoria in molti Stati membri. Tra effettivi e riservisti, l’Italia dispone di 355mila soldati, meno della Francia (375mila) ma più del Regno Unito (222mila) e della Germania (circa 216mila).
Quanto ai mezzi, che Mosca riesce ancora a riparare e sostituire nonostante le sanzioni occidentali, il numero di carri armati, velivoli, corazzati vari e sistemi d’artiglieria supera di gran lunga quello a disposizione dei membri europei dell’Alleanza, anche se la qualità di questi ultimi è decisamente più elevata. Si parla di circa 6.800 carri armati russi contro i 647 polacchi, i 376 tedeschi, i 215 francesi e i 150 italiani. Quanto all’artiglieria, Mosca dispone di circa 20.430 sistemi d’arma, mentre Madrid ne può mettere in campo 1.550, Varsavia e Roma 770 ciascuna, Londra 600. Ci sono poi oltre 11.350 corazzati per la Russia, contro 2.500 per la Francia, 900 per la Spagna, circa 800 per Germania e Regno Unito e 380 per l’Italia.
E queste sono solo alcune voci che riguardano le forze convenzionali. Ma il vero elefante nella stanza, in termini di differenziale militare tra Russia ed Europa, resta quello dell’arsenale nucleare, che dal 1945 continua a costituire il principale e più efficace deterrente strategico. Mosca detiene il maggior numero di testate nucleari al mondo (quasi 5.900), seguita da Washington (oltre 5.200) e Pechino (500), mentre Parigi e Londra dispongono rispettivamente di 290 e 225 ordigni.
Non c’è quindi modo per le nazioni europee di produrre una deterrenza nucleare credibile contro la Russia se gli Stati Uniti vengono rimossi dall’equazione. Alcune di loro, come la Polonia, starebbero considerando di iniziare a costruire delle bombe atomiche proprie, ma non è chiaramente un processo immediato.
La “tallone d’Achille” del Baltico
Se la Russia dovesse attaccare l’Europa, i primi a pagarne le conseguenze potrebbero essere i Paesi baltici: prima della caduta del muro di Berlino, Estonia, Lettonia e Lituania facevano parte dell’Unione sovietica, e la retorica di Putin ha più di una volta messo in dubbio la sovranità di questi Stati. Eppure, proprio qui la Nao potrebbe avere il suo tallone d’Achille: è il cosiddetto “corridoio” di Suwalki, un lembo di terra che costituisce l’unico collegamento terrestre tra Lituania e Polonia, e che separa la Bielorussia dall’exclave russa di Kaliningrad, una delle aree più militarizzate del continente. Secondo gli esperti militari, le forze del Cremlino potrebbero facilmente tagliare fuori le repubbliche baltiche occupando questo corridoio e poi invaderle.
Nella zona è stazionata la Enhanced forward presence, che comprende oltre 12mila soldati Nato in rotazione tra vari Paesi membri: non si tratta di una forza di difesa vera e propria, ma più che altro di un sistema di allarme che, se azionato, permetterebbe di guadagnare tempo in attesa che arrivi la “cavalleria”. Sempre che la Casa Bianca la voglia mandare. L’ingresso di Helsinki e Stoccolma nell’Alleanza dovrebbe ribilanciare le forze in campo, ma il fianco orientale resta comunque debole di fronte alla minaccia di un attacco in forze di Mosca e di Minsk.
Verso una difesa comune?
Insomma, attualmente siamo estremamente vulnerabili. E non ci stiamo muovendo abbastanza rapidamente per invertire la rotta: “L’Europa non solo è impreparata alla guerra, ma non si sta preparando alla guerra”, ha dichiarato Benjamin Tallis, del think tank tedesco DGAP. Senza il sostanziale supporto americano, insomma, gli europei non hanno né gli uomini né l’equipaggiamento per affrontare un conflitto ad alta intensità contro le forze di Mosca.
E mentre il Cremlino sta già iniettando oltre il 4,4% del Pil nella difesa, i Paesi Ue devono ancora rifornire completamente gli arsenali che sono stati intaccati per sostenere lo sforzo bellico di Kiev. Certo, ci sono stati progressi nei volumi e nei ritmi di produzione dell’industria militare, ma secondo gli esperti non siamo ancora a livelli sufficienti. E l’impegno finanziario che servirebbe per arrivarci è molto difficile da vendere politicamente, soprattutto in un anno elettoralmente bollente come il 2024.
Infine, manca un reale coordinamento politico tra le capitali europee, che ridurrebbe enormemente le duplicazioni che caratterizzano invece un contesto in cui i Ventisette si muovono in ordine sparso. Oltre a capacità produttive congiunte, serve maggiore interoperabilità tra i sistemi d’arma e di trasporto dei Paesi membri, nonché un allineamento dei loro budget militari.
Fonte : Today