In seguito alla scomparsa di Gigi Riva, Sky ripropone il documentario a lui dedicato girato da Riccardo Milani. Alle 14.00 su Su Sky Sport Calcio, alle 21.15 su Sky Cinema Due e alle 23.10 su Sky Documentaries. Ecco l’intervista al regista del film rilasciata in occasione dell’uscita del film
La storia irripetibile di un’impresa che ha avuto come eroe un uomo unico. Lo scudetto del Cagliari e la vita di Gigi Riva, scomparso improvvisamente ieri all’età di 79 anni, il miglior marcatore di sempre della Nazionale italiana, sono al centro di Nel nostro cielo un rombo di tuono, film documentario di Riccardo Milani (Come un gatto in tangenziale, Grazie ragazzi) che ha il grande merito di narrare Riva attraverso i ricordi, i pensieri, le confidenze e il volto di Riva. Il film torna alle 14.00 su Su Sky Sport Calcio, alle 21.15 su Sky Cinema Due e alle 23.10 su Sky Documentaries per ricordarene la grande figura del grande campione che ha segnato un’epoca. Un film su Riva, sulla Sardegna, sul legame simbiotico instauratosi tra loro, come racconta il regista.
Ecco l’intervista al regista del film che aveva rilasciato in occasione dell’uscita del film
Quando e perché ha deciso di raccontare la storia di Gigi Riva?
Ventidue anni fa, nel 2001, incontrato Gigi per la prima volta gli ho spiegato di questo progetto. Da tantissimi anni volevo fare un lavoro su di lui perché per me voleva dire raccontare la storia di un uomo e della sua terra, della terra che è diventata sua, la Sardegna. Nei titoli di questo film c’è scritto “scritto e diretto da Riccardo Milani”, ma in realtà questa storia è stata scritta da Gigi e dalla Sardegna, dalla persona e dalla terra che lo ha ospitato e ancora lo ospita. Da bambino ho subito il fascino di Riva e del Cagliari dello scudetto, di quegli anni in cui una squadra molto piccola poteva vincere il campionato contro le grandi, con l’esempio di un uomo che rifiutava tutte le offerte e aveva il coraggio di dire di no. Quell’insegnamento lì non me lo sono più levato di dosso, e forse è possibile ancora dire no pagando dei prezzi ma scegliendo la vita che si vuole fare fino in fondo. Quella di Riva è una storia di umiltà, coraggio, onestà, coerenza: tutte doti che 22 anni fa mi sembrava necessario raccontare ed esaltare e che oggi, a 22 anni di distanza, mi sembrano ancora più urgenti.
Raccontare un gigante conosciuto e amato da tutti non è semplice, bisogna cercare un nuovo taglio, una nuova angolazione. Lei in cosa l’ha trovata?
Non mi sono posto il problema di fare una cosa diversa, ma di raccontare bene la storia di Gigi con lui. Per la prima volta Gigi si è concesso e ci ha permesso di averlo davanti a una macchina da presa. Sembrava una cosa impossibile e invece è accaduto, come è accaduto poi che alla fine del film, ormai due anni fa, abbiamo continuato a vederci, sentirci e frequentarci. Questo è un valore aggiunto a tutto questo progetto, un grande piacere conoscendo la riservatezza dell’uomo. Volevo raccontare una storia magnifica e irripetibile che però si rinnova in occasioni come la promozione in Serie A, con Ranieri che viene chiamato da Gigi a supportare la squadra e l’Isola e riesce a riportare la squadra in Serie A. Di fondo, Riva è un uomo che ha spostato le montagne e che è ancora in grado di spostarle nonostante si muova pochissimo da casa ma continuando a guardare il mondo con la stessa lucidità e coraggio. Un coraggio che si vede davvero poco in giro.
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Riva è un uomo profondamente riservato. Come lo ha convinto ad aprirsi?
L’unico argomento che avevo era quello della sincerità totale, dell’affetto e della stima. Gli ho detto: “Gigi, questa è una cosa che i ragazzi devono sapere, la gente deve sapere la tua storia”. Per quanto lui sia un uomo che consapevolmente ha mai voluto dare lezioni, ce le ha date. Con la sua storia, ha indirizzato una generazione e la speranza è che possa indirizzarne anche altre stimolandole a recuperare i valori dello sport, quelli dell’onestà e del rispetto degli altri.
Qual è l’aspetto della personalità di Riva che l’ha maggiormente colpita?
Il senso della misura, saper pesare le parole, dirne poche. Siamo stati insieme parecchio, vado a trovarlo ogni tanto, e capita che si stia insieme a volte anche senza dirci nulla, ma i silenzi con Gigi pesano, su quei silenzi penso si sia cementata la sua fiducia nei miei confronti.
Cosa ha scoperto di Riva che prima di fare questo film non sapeva?
Una cosa che avevo solo accarezzato dall’esterno, la generosità. È una persona di grandissima generosità e lo è facendo viaggiare su due binari diversi ma nella stessa direzione la generosità e la selettività. Seleziona le persone, le amicizie, è in grado di capire quando c’è qualcosa dietro che non va bene. Ed è un po’ un valore di tutti i sardi questo. Frequento l’Isola da più di 50 anni, non sono sardo ma qualcosa l’ho conosciuta, un po’ ne ho capito le radici e i valori. Gigi è generoso come spesso sono generosi i sardi quanto entri in punta di piedi in casa loro, quando li rispetti.
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Secondo lei, perché Riva non ha mai lasciato Cagliari? Forse perché in fondo è sempre stato sardo prima ancora di conoscere la Sardegna?
Penso che sia così e lui lo dice nel film. Credo che anche i dolori dell’infanzia e dell’adolescenza, le morti del papà, della mamma, della sorellina piccola, la Sardegna abbia contribuito a smussarli, a renderli meno presenti nella sua vita, che lo abbia aiutato ad affrontare a testa alta il percorso che poi ha affrontato. Ha trovato in Sardegna la famiglia che non aveva più.
Il documentario parla anche molto di Sardegna. Nel farlo ha scelto alcune immagini dal forte potere evocativo. Mi ha colpito in particolare l’uso dei mamuthones. Come mai si vedono così spesso?
Una cosa che Gigi mi ha raccontato e che si sa è che lui aveva paura di andare in Sardegna, ne sentiva parlare come della terra dei sequestri, una terra lontanissima, inaccessibile dura. Poi si è fatto accompagnare dalla sorella, ha conosciuto i calciatori e i primi amici come Martino, il pescatore. Quando ha capito che poteva fidarsi è diventato riconoscente. Più volte nel film dice che sarebbe stato un tradimento andarsene. I mamuthones rappresentano la paura, il timore, il male pronto a presentarsi. Poi, però, gli stessi mamuthones, quando Gigi torna a fare il giro della Sardegna, si tolgono la maschera e lo salutano con affetto, come uno di loro.
Perché per i sardi Riva è uno di loro.
Sì. Nel film c’è anche una canzone scritta appositamente dai tenores di Bitti per lui, e non c’è stato un solo paese, anche il più piccolo, che non avesse un bar con una foto del Cagliari dello scudetto o di Gigi Riva. C’è un legame molto forte con quello che è un momento che ha cambiato il corso della storia della Sardegna. Se pure un Papa si accorge dell’esistenza di una terra dopo quella vittoria, evidentemente qualcosa di grosso era capitato. Come diceva Gianni Brera, giornalista sportivo e uomo di grandi valori, con quello scudetto l’Isola entrò in Italia.
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C’è una canzone di Piero Marras che si chiama Quando Gigi Riva tornerà. Lei pensa che possa esserci un nuovo Gigi Riva?
Intanto spero che quel testimone etico passi. Quella quantità di valori, quell’esempio lì rimane. C’è sempre la possibilità che il testimone venga raccolto. Ma lo è già adesso, nel senso che non è mai caduto nel dimenticatoio, in Sardegna tutte le generazioni si tramandano la storia di Gigi Riva. Quando abbiamo fatto la presentazione del film Al Teatro Massimo di Cagliari c’erano 700 persone e Gigi si è convinto a venire. Alla fine della proiezione c’è stata un’ovazione per lui ma nessuno si è avvicinato, nessuno lo ha toccato, nessuno si è alzato dalla sua poltrona per abbracciarlo o fargli una foto. Si sono comportati tutti con grande rispetto. Solo un bambino di 7-8 anni gli si è aggrappato alle sue gambe, e mi ha spinto a voler indagare. Così ho parlato col papà che mi ha raccontato come il nonno gli avesse raccontato la storia di Gigi Riva e nel vederlo il bambino non avesse resistito all’impulso di abbracciarlo. Magari quel bambino sarà il nuovo Gigi Riva, chissà…
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Fonte : Sky Tg24