Nella notte tra il 18 e il 19 gennaio in Russia si è celebrato il Battesimo del Signore, la festa conclusiva del ciclo natalizio secondo il calendario giuliano. Oltre alla particolarità della data, la Chiesa russa esalta in questa solennità dell’Epifania la superiorità specifica dell’Ortodossia nella versione slava-orientale, con il rito dell’immersione nell’acqua ghiacciata, una variante della memoria del Giordano che solo i russi possono riprodurre, essendo questo il tempo del gelo più profondo delle terre eurasiatiche.
Le eparchie e le parrocchie ribadiscono le norme da osservare per vivere fino in fondo questa esperienza di rinascita fisica e spirituale insieme, e tornare a casa con la scorta di acqua benedetta per tutto l’anno. Come ricorda il protoierej Evgenij Ivanov, addetto stampa dell’arcieparchia di Almaty in Kazakistan, “immergersi nell’acqua santa risana il corpo e l’anima; alcuni pensano erroneamente che il bagno liturgico lavi via i peccati, ma non è così, il peccati si purificano con un pentimento autentico e si correggono con le buone azioni”. A queste esortazioni si aggiunge di “non scordarsi le norme di sicurezza”, scendendo nell’acqua solo nei luoghi designati, sotto l’osservanza di medici e bagnini liturgici, forniti di ciabatte di resina, asciugamano, cambio d’abito e un thermos con il tè caldo. Prima dell’immersione “bisogna fare qualche esercizio di riscaldamento”, scendere fino alle spalle e non bagnarsi il capo, “per evitare contrazioni dei vasi cerebrali”, e ovviamente evitare di bere alcolici. I bambini possono scendere nel ghiaccio solo insieme ai genitori, e i malati cronici non sono ammessi.
Il rito battesimale assomiglia più a un’esercitazione militare che a un gesto ascetico, connotazione che risulta particolarmente opportuna e simbolica in questi tempi di guerra. Lo scorso anno il clima era gelido non soltanto per le temperature abbondantemente sottozero, ma anche per le preoccupazioni della controffensiva nemica, che sembravano interrompere la marcia trionfale della riconquista delle terre ucraine e della rigenerazione dei peccatori in tutto il mondo, la “buona azione” ortodosso-patriottica che redime il popolo umiliato e offeso. Quest’anno invece il sacro Battesimo annuncia una stagione di gloria e orgoglio nazionale e universale, a due mesi dalla prossima ri-consacrazione dello zar e in mezzo a un turbinio di guerre e rivolte in ogni parte del mondo, segni dell’apocalisse salvifica iniziata due anni fa, distruggendo le barriere dei confini per innalzare nuove mura di difesa dagli assalti del demonio.
Più che le omelie patriarcali o i messaggi presidenziali, risaltano in questi giorni i proclami dei profeti e degli ideologi, come quello pubblicato sulla “Gazzetta parlamentare” da uno dei massimi interpreti del sovranismo escatologico, il filosofo Aleksandr Šipkov, rettore dell’università ortodossa di San Giovanni il Teologo di Mosca e vice-presidente del Concilio Popolare Russo Universale, al cui vertice siede lo stesso patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev). Il saggio s’intitola “Educazione ai valori morali e sovranità dello Stato”, formulando in modo esplicito il connubio tra la religione e la politica che caratterizza il regime kirill-putiniano.
Šipkov osserva “il periodo di turbolenza che sta attraversando il mondo intero”, in cui “la Russia in forza di una serie di circostanze storiche è diventata l’epicentro di ogni processo di trasformazione”. La stabilità e la “determinazione” (ustoičivost) dello Stato ortodosso rappresentano il modello della sovranità, contro cui si moltiplicano “le sfide e le minacce” a cui è necessario dare una risposta adeguata e definitiva. A questo ovviamente servono “l’organizzazione difensiva”, a partire dall’industria bellica, e il “risanamento dell’ambito informativo”, la guerra militare e la guerra ibrida, senza dimenticare la “normalizzazione della politica culturale” e la “regolazione delle dinamiche demografiche”, riscrivendo la storia ed incitando alla fecondità familiare. A questi importanti elementi, per ottenere una sovranità veramente efficace si deve aggiungere la “difesa dei valori morali”, che non si deve limitare alla “ripetizione di definizioni già pronte”, trattandosi di un compito ben più globale e dinamico.
Lo scopo del processo formativo deve portare a “educare la prossima generazione di russi nello spirito di una partecipazione senza condizioni al destino del proprio Paese”, e agli eventi più critici e importanti della sua storia. Un aspetto decisivo è quello “interiore e psicologico” di questa partecipazione, guardando ad esempio alla “fuga dei cervelli” che ha fatto andare all’estero una gran parte degli esperti informatici russi, oggi quanto mai necessari alla nuova economia autarchica. Gli specialisti sono attirati dagli alti stipendi delle aziende straniere, e se anche le ditte russe provano a offrire aumenti, allora gli avversari rilanciano l’offerta, in una “gara folle e infinita del mercato internazionale del lavoro”. Per uscire da questo vicolo cieco, insiste il filosofo, bisogna “superare gli interessi puramente materiali”, formando dei cittadini, compresi gli informatici, che vedano nel lavoro non soltanto un “servizio a sé stessi”, ma un vero servizio alla Patria.
La formula proposta da Šipkov prevede quindi la “sottomissione del processo formativo al sistema dei valori morali, risolvendo in questo modo anche il problema dell’identità nazionale”. Un problema che la Russia ha ereditato dalle tante interruzioni della sua tradizione, i cosiddetti “cronoclasmi” della sua storia, come quelli dei torbidi di inizio Seicento, della rivoluzione di inizio Novecento, a cui il politologo aggiunge la crisi degli anni Novanta dopo il crollo del regime sovietico. Queste fratture hanno avuto riflessi anche a livello ecclesiastico, con gli scismi e le dittature occidentalizzanti e ateiste, ma preoccupa in particolare proprio quello post-sovietico, quando “vi furono molti tentativi di realizzare una specie di riforma dell’Ortodossia”, una vera “erosione della nostra identità nazionale”.
Se è vero che la rivoluzione bolscevica aveva annullato la tradizione precedente, nel saggio si difende comunque la “cultura sovietica”, considerandola “una parte integrante della storia e dell’intera cultura russa”, pur in un contesto “pieno di contraddizioni”, ma che va tenuto insieme a tutto il resto, perché “l’esperienza della nostra nazione e del nostro popolo non si può fare a pezzi, e noi non lo permetteremo”. Oggi bisogna ricostruire in Russia il “consenso storico-culturale”, un compito quanto mai opportuno in apertura della campagna elettorale presidenziale, rimettendo insieme i suoi pezzi e i suoi “codici culturali e religiosi: ortodosso, sovietico, pre-rivoluzionario, vecchio-credente, nazional-popolare, e i codici etnici e confessionali minori”. E che cosa può rimettere insieme tutte queste dimensioni, spesso tra loro contrapposte? “È possibile solo sul fondamento di un’unica piattaforma etica, che è sempre rimasta immutabile in tutte le fasi convulse della nostra storia”, risponde Šipkov.
Il sistema socialista sovietico, ad esempio, secondo questa interpretazione esaltava il senso popolare della giustizia, era un “socialismo dal basso” che si basava sulla concezione della sobornost, della comunitarietà vissuta, quello che i sovietici chiamavano “collettivismo”. Questo oggi va recuperato a un livello più universale, quello della “missione storica della Russia e del mondo russo, quella di formare ovunque uno spazio di comunione, per la salvezza dell’anima”. Il rafforzamento dell’impero, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande fino a Stalin, è proprio la finalità religiosa della salvezza spirituale, quindi si tratta principalmente di un “impero morale”, non di un’affermazione del potere di un singolo o di una casta, e nemmeno di una singola nazione. È questo il contenuto degli interventi dell’attuale imperatore (spesso elaborati proprio da Šipkov), che costituiscono il “programma del nostro futuro, il sistema di vita dei cittadini della Russia almeno per i prossimi 30-40 anni”. Il filosofo si associa quindi all’invito natalizio del patriarca Kirill, che aveva esortato i russi all’estero a tornare in Patria, dove verranno perdonate le loro azioni dettate dalla paura o dall’avidità.
In Russia troveranno un mondo nuovo, dove “i valori non sono delle astrazioni, ma si realizzano nell’esperienza di vita dell’uomo russo”, eliminando le illusioni “neo-liberali e mercantili” e sostituendole con l’amore patriottico, “di cui non dovremo più vergognarci”. Si mette fine alle competizioni interne per primeggiare in politica o nell’economia, tanto “il leader deve essere uno solo, al massimo due o tre”, e tutti gli altri si devono adeguare: “nel Vangelo si dice di amare gli altri e difendere i deboli, da nessuna parte nelle Scritture si invita a sostenere i forti”. Una volta scelta la guida, ci si può mettere tranquilli per il resto dell’esistenza.
Pur con tutte le necessarie cautele, insomma, ci si deve immergere nella croce ghiacciata senza timori, per rinascere alla luce dell’Ortodossia sovrana, la nuova sintesi della storia e dei valori morali. Quello che conta nella morale non sono i codici di comportamento, ma i “codici culturali”, che giustificano anche le guerre più terribili e i sentimenti di odio verso gli estranei, come avviene ormai in ogni parte del mondo, per la gloria della Russia.
Fonte : Asia