Disturbi alimentari: “I social non sono la causa, ma un enorme fattore di rischio”

Sono tre milioni le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare in Italia. Di questi il 30% ha meno di 14 anni.

Un tratto comune in molti adolescenti alle prese con un disturbo del comportamento alimentare è l’interazione, per molte ore al giorno, con profili Instagram e TikTok che propongono determinati modelli corporei e modelli alimentari da seguire”, commenta Laura Dalla Ragione, psichiatra, psicoterapeuta e fondatrice della Rete per i disturbi del comportamento alimentare della Usl 1 dell’Umbria, che con Raffaela Lanzetta ha scritto il libro Social Fame (2023, ed. Il Pensiero Scientifico).

Già in passato il web è stato campo fertile per la divulgazione di informazioni dannose legate ai comportamenti alimentari. Pensiamo ai vecchi siti o forum pro ana o pro anoressia, che suggerivano come diventare anoressici o bulimici e istigavano questi comportamenti: “Oggi – aggiunge Dalla Ragione – è passato tutto sui social network, Instagram e TikTok per primi. Esistono profili di persone senza titolo, né formazione che si improvvisano nutrizionisti, che hanno molto seguito. Abbiamo pazienti ricoverate/i di 12 anni che hanno cominciato a seguire sui social persone malate che propagandavano la loro magrezza”. L’80% degli adolescenti segue profili di influencer del fitness, food o legati a diete o cura del corpo.

La storia di Susanna

La storia di Susanna (nome di fantasia), 10 anni e mezzo, è raccontata nel libro Social Fame. È già in possesso di uno smartphone personale e non viene monitorata dai genitori. Insoddisfatta della propria immagine corporea e in un momento di forte difficoltà emotiva, inizia a cercare contenuti relativi all’anoressia nervosa, disturbo di cui aveva sentito parlare a scuola. Viene attratta dalle immagini di corpi sofferenti, inizia a seguire sui social diverse ragazze che soffrono di disturbi alimentari, imparando da loro a contare le calorie utilizzando le app, fare iperattività e restrizione alimentare. “Susanna si è sempre si sentita inadeguata in mezzo ai coetanei e ha subito bullismo alle scuole elementari – racconta Dalla Ragione – ha deciso di perdere peso, cercando una dieta su Google. Su Youtube cercava video di workout, iniziando a seguire l’influencer che ha il corpo che più rispecchia il suo ideale. Aprendo TikTok, per la potenza dell’algoritmo, le iniziano a comparire profili di ragazze che soffrono di anoressia. Così inizia a seguirle e a imitarle. All’età di 11 anni ha dovuto affrontare più ricoveri ospedalieri e residenziali e un lungo percorso ambulatoriale, prima di ritrovare un equilibrio con se stessa”.

Social network e percezione di sé

I social network non sono “la” causa ma sono un enorme fattore di rischio, soprattutto per i giovanissimi: “Si tratta di un ‘far-west’ – aggiunge l’esperta – in cui non esiste nessun tipo di regolamentazione. In passato era stato fatto un tentativo di controllo contro l’istigazione all’anoressia ma non è semplice perché spesso le persone che stanno dietro a queste pagine sono i pazienti stessi. Ma una regolamentazione sarebbe necessaria”.

Si pensi alle tante influencer che raccontano come restare in forma con regimi alimentari davvero restrittivi. Ha colpito, per esempio, il caso di Zhanna D’Art e Raw Vegan Food Chef, influencer morta dopo essere apparsa gravemente malnutrita, e aver seguito per quattro anni un regime crudista che l’aveva portata a nutrirsi soltanto di frutta, semi di girasole, frullati e succhi.

Cosa fare

Ma cosa si deve fare per cercare di evitare che altri giovanissimi vengano coinvolti da influencer come lei?

“Io penso che l’educazione digitale dovrebbe essere un argomento di riflessione nelle scuole – dichiara Dalla Ragione -. Bambini e adolescenti non sono preparati al contradditorio sui contenuti dei social, non distinguono che gli influencer mostrano come reale un mondo patinato che reale non è: bisogna parlarne a scuola e a casa. Insegnanti e famiglie devono aiutare i ragazzi a decodificare quanto vedono, con il dialogo. Non si chiede più: con chi sei uscito?, ma cosa/chi hai visto online?”.

Senza attaccare, né minimizzare: “Spesso – continua la psichiatra – gli adulti tendono a minimizzare o “smontare”, quando per essere efficaci bisognerebbe avere un atteggiamento non inquisitorio e chiedere loro cosa pensano degli influencer che seguono e di ciò che dicono. Bisogna mettersi laicamente in una posizione di ascolto. Impariamo a discutere, questa è la strada. La censura non è la strada”.

Fonte : Repubblica