Guerra in Medio Oriente, cosa sappiamo dopo 100 giorni: “L’attacco di Hamas a Israele non era inaspettato”

Conflitto Israelo-Palestinese

Sono passati 100 giorni dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e dall’inizio del conflitto con Israele che in questi mesi ha continuato a evolversi. Dall’incursione di terra e la cattura di ostaggi da parte dei miliziani ai recenti attacchi Houthi nel Mar Rosso, insieme al giornalista e analista dell’ISPI Francesco Petronella, abbiamo ripercorso le principali tappe e tentato di fare un bilancio della guerra in Medio Oriente.

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Intervista a Francesco Petronella

Giornalista e analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).

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Conflitto Israelo-Palestinese
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Sono passati 100 giorni dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e dall’inizio del conflitto con Israele che in questi mesi ha continuato a evolversi.

Dall’incursione di terra e la cattura di ostaggi da parte dei miliziani ai recenti attacchi Houthi nel Mar Rosso, insieme al giornalista e analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) Francesco Petronella, Fanpage.it ha ripercorso le principali tappe del conflitto e tentato di fare un bilancio della guerra in Medio Oriente.

L’attacco di Hamas a Israele e l’inizio della guerra

A 100 giorni di distanza dall’inizio della guerra in Medio Oriente possiamo dire che l’attacco di Hamas del 7 ottobre non era esattamente inaspettato, come lo avevamo descritto nelle prime ore. Nel senso che c’erano tutta una serie di avvisaglie che lasciavano presagire quello che stava per succedere. Primo fra tutti il fatto che si veniva da anni di accordi e normalizzazione tra Israele e vari Paesi dell’area, in primis Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco, Sudan, fatti senza coinvolgere i palestinesi, facendo passare così il concetto che la pace si poteva fare con gli arabi e non con i palestinesi”, spiega Petronella.

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“A questo si è sommato l’acme del periodo del governo Netanyahu e l’eredità più grave è stata l’idea di poter convivere con la crisi. Negli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 si partiva dal presupposto che una soluzione definitiva a tutta la questione si sarebbe dovuta dare, da un punto di vista politico”, prosegue l’analista.

Francesco Petronella, giornalista e analista ISPI

Francesco Petronella, giornalista e analista ISPI

“Il presidente israeliano, spostando sempre più a destra il suo sostegno politico e alleandosi con partiti sempre più estremisti, ha fatto invece passare l’idea che fosse possibile convivere con il problema, mettendo cerotti e adottando soluzioni palliative di carattere militare, senza un’idea politica precisa. Tutto ciò a creato una sorta di pentola a pressione che il 7 ottobre è inevitabilmente esplosa”.

L’offensiva di Israele e la critiche a livello internazionale

Come prosegue Petronella, “a partire dal 27 ottobre Israele ha lanciato la sua offensiva di terra, dopo aver iniziato con i raid aerei su varie zone della Striscia di Gaza. Lì si è capito subito che sarebbe stata una risposta molto imponente rispetto all’offesa subita e così è stato, lo vediamo con il bilancio delle vittime che è sbilanciato. Lo è sempre stato, anche durante l’operazione Piombo Fuso e nelle crisi precedenti. Ma in questo caso è particolarmente grave”.

Se infatti subito dopo l’attacco Israele aveva ricevuto un sostegno politico anche solo di facciata praticamente da tutti, “questo consenso lo ha piano piano dissipato, è iniziato a crescere il malcontento e sono arrivate critiche nei confronti della gestione della situazione e della portata della risposta militare che ha coinvolto anche la popolazione civile e non solo Hamas. Le critiche poi riguardano anche l’operazione stessa, nel senso che quello di sradicare Hamas è uno slogan molto potente ma un obiettivo difficile da realizzare”, aggiunge.

“Sicuramente questo è uno dei governi più duri e oltranzisti sulla questione, a prescindere dalla guerra. – spiega ancora Petronella – Ma non c’è solo questo, c’è anche una strategia di deterrenza. Nella dottrina militare di Israele c’è proprio l’idea di incutere il giusto livello di timore nei nemici. Quindi, di conseguenza, se ci si dimostra così deboli, fragili, questa deterrenza poi va ripristinata. Anche a costo di una risposta militare così veemente. Questo è il principio, dal punto di vista operativo, il piano è sempre stato molto nebuloso”.

L’intervento del Libano e il discorso del capo di Hezbollah

Nei mesi successivi sono iniziate le ipotesi su come e in che direzione si sarebbe allargata l’escalation. “Gli occhi erano tutti puntati sul Libano e su Hezbollah che è il più importante degli attori del Medio Oriente legati all’Iran. – prosegue il giornalista – Ci si aspettava che fosse proprio Hezbollah a muoversi, sennonché è arrivato il famoso discorso del capo Hassan Nasrallah in cui ha detto: ‘Noi siamo già in guerra, quello che possiamo fare lo stiamo già facendo’. E poi si sono limitati a quello che in inglese si chiama ‘tit-fot-tat‘, non solo in Libano ma anche in Siria e in Iraq, quindi scambi di fuoco circoscritti con quello che viene chiamato l’Asse della Resistenza, l’Iran e gli attori regionali vicini al Paese, senza però avviare una vera e propria escalation del conflitto”.

L’ingresso degli Houthi dallo Yemen nel conflitto

A muoversi in maniera più determinata sono stati invece gli Houthi dallo Yemen. “Non se lo aspettava nessuno”, commenta Petronella che prova a spiegare anche le motivazioni del coinvolgimento del gruppo nel conflittoin Medio Oriente. “Dicono chiaramente di muoversi in solidarietà con i palestinesi, chiedendo un cessate il fuoco e la cessazione del blocco israeliano sulla Striscia di Gaza. In cambio smetteranno di attaccare le navi, soprattutto i mercantili nel Mar Rosso. Ma sono comunque geograficamente lontani all’area, era difficile che si sarebbero immischiati. Invece hanno fatto esattamente il contrario per una serie di ragioni”, prosegue.

“La prima è che sono, sì, legati e sostenuti dall’Iran, ma sono anche indipendenti dal punto di vista operativo. Spesso si riconduce tutto quello che succede in Medio Oriente nello schema, si dice, della proxy war, la ‘guerra per procura’, dove ci sono vari attori locali che dipendono da potenze più grandi. Ma questa dipendenza non è sempre così diretta. Gli Houthi hanno dimostrato di avere una propria agenda perché, e questo è un secondo punto, sono un movimento di lotta che non ha ancora fatto il passo dell’istituzionalizzazione come invece è accaduto a Hezbollah. Vengono da anni di guerra civile e guerriglia regionale, con i raid hanno colpito le infrastrutture petrolifere in Arabia Saudita, porti negli Emirati. Sono ancora in fase di ‘turmoil‘, si dice in inglese, di ‘fermento‘. E questo sostegno, anche retorico, alla causa palestinese, gli dà anche un certo prestigio a livello interno e sulla scena internazionale“, osserva ancora l’analista.

“Cosa può succedere? Si scalderanno anche gli altri? Hezbollah si muoverà in maniera più decisa? È molto difficile dirlo. Dal momento in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri Paesi hanno avviato la campagna militare contro gli Houthi, bisogna vedere se l’Iran deciderà in maniera più concreta di sostenerli, visto che sono suoi partner regionali. Qualora questo dovesse succedere, vedremo un po’ come vanno le cose. Intanto, dopo l’attacco di quattro giorni fa, gli Houthi ne hanno messo a segno un altro ieri (domenica 14 gennaio, ndr), ma nelle ultime ore non hanno più toccato navi perché staranno riparando le infrastrutture, sono stati colpiti in maniera molto violenta. Ora bisognerà vedere cosa succede nelle prossime settimane”.

Il processo per genocidio contro Israele alla corte internazionale di Giustizia

Tra gli altri fatti accaduti durante questi 100 giorni c’è anche il processo per genocidio contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. “Io ho un giudizio molto netto su quest’operazione che ha un valore politico. Non è un caso che il Sud Africa si sia rivolto alla Corte Internazionale e non a quella Penale, che persegue le persone e aveva spiccato un mandato di cattura contro Putin. La Corte Internazionale invece persegue gli Stati, quindi ha una simbologia politica enorme ma risvolti limitati dal punto di vista pratico“, osserva Petronella.

“Ci sarà un dibattito molto seguito e pregno che dividerà ancora di più il mondo tra sostenitori di Israele e sostenitori dei palestinesi. Ma nel breve periodo arriveremo a una forma di, diciamo, ‘misure cautelari’ in attesa di una sentenza definitiva che potrebbe arrivare tra anni e in cui si dirà a Israele di interrompere gli attacchi, cosa che non farà. Gli strumenti sono pochi. Su Israele penderà la responsabilità politica di aver ignorato questa decisione“.

Cosa è cambiato in Medio Oriente rispetto ai conflitti del passato

A distanza di più di tre mesi dall’inizio delle ostilità, Petronella delinea i contorni di una crisi decisamente diversa rispetto a quelle del passato. “Non abbiamo assistito al solito lancio di razzi dalla Striscia a cui Israele ha risposto con i raid aerei. Questa volta c’è stato qualcosa di più: i miliziani di Hamas hanno fatto incursioni di terra, hanno preso persone in ostaggio. È chiaramente una crisi che non ha precedenti, anche perché nel tempo è cambiata tantissimo. Sembrava una cosa locale e invece si è evoluta in quella che, di fatto, è già una guerra regionale che coinvolge diversi attori, anche se a bassa intensità per il momento, e che sta prendendo una direzione che forse non tutti si aspettavano, con la crisi del Mar Rosso che mette in difficoltà le catene di approvvigionamento a livello mondiale e un coinvolgimento, per ora limitato, anche di paesi occidentali. E al momento prevedere come questa cosa si evolverà è davvero molto difficile”.

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Fonte : Fanpage