Non basterà di certo un articolo a sgomberare il campo su una materia ampia come quella del cioccolato (e ancora prima della pianta del cacao) ma muoversi con qualche informazione di base, una cassetta degli attrezzi minima per scegliere tra un cioccolato e l’altro, non è impossibile. Come abbiamo indagato come si riconosce la qualità di cibo e bevande con esperti del settore, così possiamo farlo anche in questo campo, sconosciuto a molti e richiedente in termini di tempo, studio ed esperienza.
È Matteo Berti a rispondere alle nostre domande, direttore didattico di Alma, la scuola di cucina dove si può frequentare un Master in Chocolate Arts se l’ambizione è quella di diventare dei veri professionisti della materia. “Per capire il cioccolato bisognerebbe avere una competenza specifica” spiega Berti “non è molto diverso dal mondo del vino. Del resto parliamo sempre di una coltivazione. Non si finisce mai di imparare”.
Dove comprare il miglior cioccolato
Scaffali dei supermercati, negozi specializzati, piccoli artigiani, ma anche macchinette ai bordi delle strade o in attesa che arrivi il turno dal medico: il cioccolato è un po’ ovunque. Ma dove si acquista quello migliore? “In Italia ci sono diversi artigiani di piccolo taglio che fanno cultura sul mondo del cioccolato e lo lavorano bene, non è una missione impossibile. In particolare bisogna tenere d’occhio quelli che lavorano cioccolato monorigine, ovvero che viene da uno specifico paese. Ma adesso siamo arrivati anche al cioccolato millesimato, con una specifica numerazione. Le cose si sono molto evolute: chi ti vende un prodotto artigianale ti dice esattamente da dove viene il suo cioccolato”.
Cioccolato monorigine: di cosa stiamo parlando
Quando si parla di cioccolato la zona di provenienza nel mondo così come l’azienda di coltivazione è fondamentale. “Io faccio sempre il paragone con il vino” spiega Berti “eppure la Toscana non è grande come l’Equatore, tutta la zona dove si coltiva il cioccolato. C’è una grande scelta. Per cominciare si potrebbe partire da un determinato continente o nazione, poi restringere l’interesse su una specifica zona e assaggiare diversi cioccolati da produttori locali. Qui si cominciano a vedere le caratteristiche differenti, che si riversano anche nel gusto”.
La complessità del gusto
Come per altri alimenti, come il tè oppure il caffè, la presenza di un gusto complesso all’assaggio, per quanto armonioso, è sintomo di un prodotto vivo, non standardizzato, espressione del territorio. “All’assaggio possiamo avere di tutto. Ci sono cioccolati con una spiccata acidità, che fanno venire fuori sentori di frutta rossa o fiori di agrumi. Ci sono poi cioccolati con profili molto complessi: può venir fuori spezia, tabacco, torbato, frutti caldi. Persino terra e minerali”. Insomma lo spettro dei sapori è molto ampio, e si muove tra acido e amaro, chiaramente ben gestito anche nella lavorazione. Il gusto deve essere ricco e non piatto.
Con latte o senza latte: quale strada
A differenza di altri alimenti che è bene gustare esclusivamente in purezza (pensiamo a tè e caffè senza latte) nel cioccolato c’è un maggiore ventaglio di variabili. “Direi che dipende. Ci sono delle fave di cacao che si sposano perfettamente con il latte, esaltandone le note rotonde e che nella produzione del cioccolato fondente potrebbero risultare troppo aromatiche. In questo caso non ci dobbiamo aspettare di trovare un’acidità accesa. Qui possiamo aspettarci nocciola, cocco, banana, pesca. Il cioccolato a latte non è da snobbare a prescindere. Anche qui possono venire fuori delle complessità incredibili. Chiaramente conta tantissimo la qualità del latte che viene utilizzata”.
Lo zucchero sotto controllo
Elemento importante è invece la percentuale di zucchero presente in tavoletta, da indagare prima di assaggiare il prodotto. “Sarebbe bene che non fosse mai troppo elevata la quantità di zucchero. Anzi, il cioccolato andrebbe assaggiato quasi in sua assenza., esattamente come per il caffè. Poi chiaramente qui parliamo di cioccolato in purezza. Se il prodotto deve essere lavorato, si apre un mondo. Nella composizione di un dolce, per esempio, magari non serve utilizzare un cioccolato con tutta questa aromaticità oppure la scelta cambierà molto in base agli altri ingredienti scelti per la ricetta”.
Il cioccolato al naso e in bocca
“Annusare il cioccolato in purezza non è semplice, non è come un bicchiere di vino” spiega Berti “perché è una sorta di involucro chiuso, per dirla in parole semplici. Gli aromi vengono bene fuori con il retrolfatto, quando il prodotto si scioglie in bocca. Il mio consiglio è quello di essere curiosi: chi ama il cioccolato deve fare la vita del sommelier. Se la degustazione si è fermata a prodotti poco qualitativi non c’è molta scelta”.
Croccantezza e lucentezza
“La lucentezza è la base della qualità. Se non c’è può anche voler dire che è stato trasportato o conservato male” spiega Berti “Se comincia ad avere delle opacità o, peggio ancora, un colore che tende al grigiastro, vuol dire che ha preso del caldo e che c’è stato un affioramento di zucchero e burro di cacao, questo è proprio un difetto del prodotto. Durante la degustazione ne risentirà in croccantezza. Anche questo elemento è fondamentale: vuol dire che l’alimento è stabile, al morso croccante e sul palato scioglievole”.
Bean to bar: è una garanzia?
Nel mondo del cioccolato se ne parla sempre più spesso: il bean-to-bar è una specifica filiera di lavorazione in cui il cioccolatiere parte direttamente dalla fava di cacao e non dal cioccolato semilavorato. Ma è sempre garanzia di eccellenza? “è molto importante se dietro c’è un professionista che sa lavorare il cacao” spiega Berti “e che soprattutto parte da un prodotto di grandissima qualità. A questo punto diventa una sorta di sarto del cioccolato. Certo se serve solo per fare storytelling, allora no”.
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Fonte : Today