Disponibile anche in Italia su Netflix, BitConned parla di criptomonete ma non di Bitcoin, nonostante che il titolo del documentario lascerebbe pensarlo. Parla dello scandalo Centra, il primo e il più grande in questo settore, che ha anticipato il caso FTX.
Il film è diretto da Bryan Storkel e raccontato attraverso le voci dei protagonisti, cioè i founder di questa startup nata a Miami dalle ceneri di un servizio di noleggio di auto di lusso: Robert Farkas, Sohrab Sharma e Raymond Trapani. Il primo ha scontato un anno di carcere per questa vicenda, il secondo è ancora in carcere, il terzo non ha invece fatto praticamente nemmeno un giorno dietro le sbarre. Nonostante che fosse la mente di tutto.
youtube: il trailer di Bitconned
Centra e quel presidente inventato su Google
L’idea di Centra era semplice: creare l’ennesima criptomoneta e soprattutto sviluppare una piattaforma (e anche una carta di credito) che permettesse di convertire le criptovalute in denaro e di spenderle nel mondo reale, pagando nei negozi e online come si fa con gli euro, i dollari e così via. Era una bella idea, ma non ha mai funzionato.
Se la storia di Centra sembra ricordare un po’ quella di Theranos, è perché un po’ è così: in entrambi i casi, si parte da un’idea convincente e potenzialmente di successo e si usa la tecnologia per raggirare le persone e soprattutto gli investitori. C’è una differenza, però: il dolo e l’intenzione di fare male agli altri. Se Elizabeth Holmes (da quel che è dato sapere) partì effettivamente con l’idea di portare un qualche beneficio alla comunità, Ray Trapani no. Lui ha da subito l’idea di fregare il prossimo, e lo dichiara apertamente. “Volevo diventare un criminale”, lo si sente dire più volte nel film. Anzi: “Volevo diventare un criminale e arricchirmi”, che sembra lo scopo ultimo della sua vita.
Senza fare eccessivi spoiler (ma la storia è ormai di dominio pubblico), di Centra non funzionava nulla sin dall’inizio e sin dall’inizio era più o meno tutto falso: c’era il logo Visa sull’inesistente e inutilizzabile carta di credito mostrata sul sito (che era questo), ma Visa non ne sapeva nulla e ha chiesto e ottenuto che il marchio venisse rimosso dopo averlo scoperto. Le bio dei founder su LinkedIn (questa è quella di Trapani) erano costruite ad arte, con studi e precedenti esperienze lavorative totalmente inventate. Nemmeno il presidente, un certo Michael Edwards, è mai esistito: “Pensavamo ci servisse una figura più matura da mostrare all’esterno, quindi ce la siamo inventata”. Letteralmente, se la sono inventata: hanno cercato su Google “old white guy”, cioè “uomo bianco adulto”, hanno scelto una foto e un nome a caso e quello è diventato il presidente di Centra. E quando i finanziatori hanno iniziato a insospettirsi per il fatto che non comparisse mai da nessuna parte e hanno preteso di incontrarlo, ecco che spunta un comunicato che ne piange la scomparsa. Perché ovviamente l’inesistente Michael Edwards era morto in un tragico incidente d’auto.
instagram: un post recente di Ray Trapani
Con i volti di Paris Hilton e Floyd Mayweather
Nonostante tutto questo, gli affari per Centra vanno a gonfie vele: fondata nel 2017, in poche settimane la compagnia riesce a raccogliere finanziamenti per oltre 30 milioni di dollari, da investitori grandi e piccoli, negli Stati Uniti e all’estero. A quasi 7 anni di distanza, nessuno di loro si è ancora visto restituire un soldo.
A contribuire al successo, oltre alla faccia pulita dei founder, ai loro profili social tutti curati e apparentemente impeccabili e a un sito che prometteva sfracelli e soldi facili, anche l’azione promozionale (consapevole o inconsapevole) di youtuber noti nel mondo delle cripto e di prezzolati testimonial come Paris Hilton, il musicista DJ Khaled e il pugile Floyd Mayweather, come su Italian Tech raccontammo a inizio 2022. Il castello di bugie comincia a oscillare fra l’estate e l’autunno del 2017, quando i clienti iniziano a farsi e fare domande, e crolla definitivamente il 27 ottobre di quell’anno, quando il New York Times pubblica un articolo (questo) che smonta tutto pezzo per pezzo.
Trapani viene arrestato il 20 aprile del 2018, dopo che aveva messo nei guai pure la famiglia per ripagare i debiti e anche usato il volto del nonno (che “forse era nella mafia”, come dice lui stesso nel film) per inventarsi un altro falso presidente dopo Michael Edwards. Da lì in poi, per lui le cose non vanno come ci si potrebbe aspettare: oggi è a piede libero, ha un profilo su Instagram dove ai suoi 10mila follower si presenta come “la star di Bitconned su Netflix” e sarebbe pronto a lanciarsi in un nuovo business. Vorrebbe mettere in piedi un’agenzia di prestiti, secondo indiscrezioni.
Da questa impresa fallimentare ne è insomma uscito decisamente bene e forse pure meglio di prima, così come dal documentario di Storkel. Che onestamente ne fa un ritratto sin troppo lusinghiero, tutto sommato: è solo verso il finale che si parla di condanne, di vittime non risarcite, del fatto che tutto quello che è stato fatto è sbagliato. Il film non prende posizione e lascia che chi guarda si faccia una sua opinione, e magari va anche bene così: come hanno scritto alcuni colleghi all’estero, è una sorta di “manuale del perfetto truffatore”. Ed è una grande scritta Attenzione rivolta a tutti quelli che sono tentati (ancora oggi e nonostante tutto) di investire nelle criptovalute, dove questo tipo di raggiri sono tutt’altro che rari, perché si reggono su due leve fortissime: la complessità del tema, che rende difficile capirci davvero qualcosa, e soprattutto l’innata, umana e comprensibile voglia di fare soldi delle persone. Che però porta spesso su strade pericolose.
Fonte : Repubblica