Energia oscura, una nuova e più precisa misura

Non sappiamo cosa sia l’energia oscura, né di cosa sia fatta, né come si comporti. A dir la verità, non sappiamo neppure se esista; eppure ipotizziamo che costituisca il 70% circa dell’Universo osservabile, il che ci dà una misura di quanto ancora non sappiamo di come funzioni la natura. La chiamiamo – o meglio, gli scienziati la chiamano – energia oscura, dove l’aggettivo oscura è un romantico eufemismo che si traduce, per l’appunto, con sconosciuta. Una domanda sorge spontanea: perché ipotizziamo la presenza di un’entità di cui non sappiamo nulla e della cui esistenza non esiste (quasi) nessuna prova? La risposta è che, al momento, l’energia oscura è l’unica entità che può giustificare delle osservazioni sperimentali, in primis l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, scoperta per la quale Saul Permuter, Brian Schmidt e Adam G. Riess hanno vinto il premio Nobel per la fisica nel 2011 (ci sarebbe da dire che c’è anche chi mette in discussione il fatto che l’Universo si stia espandendo a velocità accelerata e che questa osservazione sia dovuta solo a un’illusione legata al moto relativo della Terra rispetto al resto del cosmo, o che dipenda da fenomeni gravitazionali ancora sconosciuti, ma questa è un’altra storia: l’ipotesi al momento più accreditata resta quella che tira in ballo l’energia oscura). Fatto sta che la comunità scientifica sta da tempo cercando di far luce su tanta oscurità, e uno degli sforzi più promettenti, in tal senso, è il Dark Energy Survey (Des), un grande progetto di ricerca con l’ambizioso obiettivo di “esplorare 14 miliardi di anni di storia cosmica”, ossia di spingersi indietro nel tempo fino al Big Bang e di comprendere cosa sia successo dopo. Il Des è un consorzio internazionale di enti scientifici che negli ultimi dieci anni (dal 31 agosto 2013, per la precisione) hanno mappato centinaia di milioni di galassie e migliaia di supernovae cercando di individuarvi una “struttura cosmica comune” in cui potrebbe essere nascosta l’azione dell’energia oscura.

Oltre la teoria della relatività

Per comprendere meglio la cosa, bisogna tornare alla teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein, sottoposta finora con successo a centinaia di verifiche sperimentali: secondo questa teoria, l’espansione dell’Universo dovuta al Big Bang dovrebbe lentamente rallentare a causa dell’effetto della forza di gravità; tuttavia, nel 1998, l’osservazione del comportamento delle supernovae più lontane ha mostrato che, in verità, l’espansione dell’Universo è tuttora in accelerazione. Per giustificare questa osservazione i cosmologi hanno formulato diverse ipotesi: tra queste, le due più accreditate prevedono che esista l’energia oscura, come dicevamo, oppure che la relatività generale debba essere sostituita da un’altra teoria, più ampia, che tenga conto di elementi ancora sconosciuti. È qui che intervengono gli esperimenti come il Des, specificamente progettato per comprendere la ragione dell’espansione dell’Universo: i ricercatori che vi lavorano – oltre 400 scienziati provenienti da 25 istituzioni diverse sparse tra Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, Brasile, Germania, Svizzera e Australia – stanno utilizzando una fotocamera digitale da 570 megapixel, chiamata DECam, montata sul telescopio Blanco al Cerro Tololo Inter-American Obsevatory, nelle Ande cilene, per scansionare il cielo alla ricerca di indizi utili a fugare il mistero.

Osservazioni su osservazioni

Nei primi sei anni di vita del progetto, dal 2013 al 2019, i ricercatori hanno messo insieme 758 notti di osservazioni del cosmo per ricavarne informazioni su oltre 300 milioni di galassie che distano miliardi di anni luce dalla Terra, per un totale di circa 5000 gradi quadrati (un’unità di misura della volta celeste) di cielo australe. Le osservazioni sono poi andate avanti, e gli ultimi risultati sono stati recentemente presentati al 234° congresso della American Astronomical Society, appena concluso a New Orleans. A commentarli, sulla rivista The Conversation, è stato Robert Nichol, scienziato alla University of Surrey e membro della collaborazione Des. “I risultati che abbiamo presentato a New Orleans – scrive il ricercatore – ci potrebbero portare più vicini a una più profonda comprensione dell’energia oscura. Tra le altre cose, ci danno la possibilità di verificare la solidità della cosiddetta costante cosmologica, una grandezza introdotta da Albert Einstein nel 1917 per ‘controbilanciare’ gli effetti della gravità nelle equazioni della relatività generale e ottenere così un modello di Universo statico, che non si espandesse né contraesse”. Quella della costante cosmologica è una storia lunga e travagliata: lo stesso Einstein, dopo averla introdotta, la definì “il mio più grande abbaglio” e la tolse di mezzo nel 1929, dopo che le osservazioni dell’astronomo Edwin Hubble mostrarono che le galassie si stavano allontanando progressivamente l’una dall’altra e che dunque l’Universo era tutt’altro che statico. Oltre sessant’anni dopo, quando come abbiamo visto divenne chiaro che l’Universo non solo si sta espandendo, ma lo sta facendo in modo accelerato, la costante cosmologica è stata in parte riabilitata e associata a una forma di energia non rilevabile dall’effetto anti-gravitazionale – qualcosa che avrebbe molto a che fare con l’energia oscura, per l’appunto.

Quanto vale w?

“I risultati di Des – continua Nichol – costituiscono una delle migliori misure per un parametro estremamente sfuggente, chiamato ‘w’, relativo alla cosiddetta equazione di stato dell’energia oscura. Sin da quando è stata per la prima volta ipotizzata l’energia oscura, il valore della sua equazione di stato è stata una questione di importanza fondamentale: questo stato, per la precisione, descrive il rapporto tra pressione e densità di energia. Tutto nell’Universo ha un’equazione di stato: determinare il suo valore è il primo passo per comprendere la vera natura dell’energia oscura. Al momento, la teoria più accreditata prevede che w = -1 per l’energia oscura, ossia che l’energia oscura sia la costante cosmologica proposta [e poi abolita] da Einstein”. Se w fosse davvero uguale a -1, allora vorrebbe dire che all’aumentare della densità dell’energia oscura aumenterebbe la sua pressione negativa. “Maggiore è la densità di energia oscura nell’Universo, maggiore è la forza repulsiva tra la materia, cioè più fortemente la materia tende ad allontanarsi da altra materia. E questo porta proprio a un modello di Universo in espansione continuamente accelerata”.

Abbiamo più volte fatto cenno alle supernovae come oggetto di particolare interesse per i cosmologi che si occupano di energia oscura. Questi oggetti, in particolare le cosiddette supernovae di tipo Ia, sono i resti di enormi esplosioni stellari e si possono essere usati come se fossero una sorta di “metro” per l’Universo, permettendoci di misurare con ottima precisione distanze enormi e, in modo indiretto, anche il valore di w. E qui si arriva alla parte più interessante: “Le nuove tecniche di cui disponiamo e l’allargamento del campione studiato – dice ancora lo scienziato – ci hanno permesso di misurare il valore di w con precisione maggiore rispetto a quanto fatto finora. E abbiamo misurato un valore pari a -0,8. Molto vicino a quello di -1, insomma, ma non esattamente lo stesso. Dunque l’energia oscura non è la costante cosmologica? È un’altra cosa? E cosa? E cos’è allora la costante cosmologica? Un attimo. “L’incertezza sulla misura di w è ancora abbastanza grande da contemplare un 5% di probabilità che la grandezza valga -1. E quindi non possiamo ancora sbilanciarci per nessuna delle due possibilità”.

Il destino dell’Universo

La questione non è da poco, perché dal valore di w, da queste cifre decimali, dipende il destino dell’Universo: “La misura di w potrebbe portare all’esclusione dei cosiddetti modelli di Big Rip, quelli in cui l’equazione di stato ha un valore inferiore a -1 e che prevedono che l’Universo continui a espandersi indefinitamente a una velocità sempre maggiore, fino a separare del tutto le galassie, i sistemi planetari e persino lo stesso spazio-tempo”. Che sollievo.

Fonte : Wired