Intelligenza artificiale, è arrivato il momento di tassarla?

Un’altra indagine di Goldman Sachs prevede invece una crescita di almeno settemila miliardi di dollari per l’economia globale nei prossimi dieci anni, mentre ben due terzi dei posti di lavoro statunitensi – nello stesso periodo – finiranno per essere in qualche modo minacciati dall’AI. Quasi il 30% delle ore lavorate negli Usa verrà influenzata da processi di automazione (McKinsey) e, come si accennava poco prima, circa 12 milioni di lavoratori avranno bisogno di un percorso di transizione occupazionale per riuscire a cavarsela. Insomma, per quanto possiamo raccontarcela sull’AI che potenzierà, affiancherà, migliorerà ed emanciperà i nostri lavori attuali regalandoci tanto tempo libero per portare a spasso il cane, l’elefante è di fronte a noi. Già oggi: secondo una ricerca di ResumeBuilder lo scorso anno più di un terzo dei manager ha ammesso di aver rimpiazzato forza lavoro umana con sistemi automatizzati e continuerà a farlo quest’anno: il 44% delle società intervistate spiega che le novità nell’AI condurranno a nuovi licenziamenti. Perché la situazione non dovrebbe peggiorare con soluzioni sempre più sofisticate e potenti di intelligenza artificiale generativa i cui frutti saranno sempre più indistinguibili dal lavoro di un essere umano?

Serviranno dunque tanti soldi per rafforzare le politiche pubbliche attuali e soprattutto intentarne di nuove. Questa transizione non sarà un pranzo di gala e ogni economia nazionale dovrà anticipare l’impatto dell’intelligenza artificiale su tutti i settori della propria economia. In Italia siamo fermi alle beghe politiche sulla presidenza della Commissione algoritmi. Come sempre, il tema cruciale è la redistribuzione della ricchezza: se ne produce molta grazie alle nuove tecnologie ma il corpo della società, la base della piramide, non gode che delle briciole. E, anzi, le persone vanno incontro a una marginalizzazione delle proprie competenze, sempre più lontane dal cuore delle nuove necessità.

Per questo, spiega Schaake, “senza un intervento, il prossimo capitolo della rivoluzione tecnologica rischia ancora una volta di privatizzare i profitti, spostando al contempo i costi per mitigare i danni sulle casse pubbliche. Il sostegno al welfare e la riqualificazione dei lavoratori licenziati non sono solo svantaggi economici: sono il tipo di cambiamenti sociali che portano facilmente a disordini politici. Per generazioni, il lavoro è stato il fondamento non solo del reddito familiare, ma anche della routine e del senso di scopo delle persone. Provate a immaginare cosa fareste senza il vostro lavoro”. Per Schaake serve, dunque, che questo nuovo giacimento di immensa ricchezza venga tassato. Come, quanto e soprattutto a chi applicare la tassazione in un panorama industriale in cui praticamente ogni società sta in qualche modo integrando strumenti di questo tipo sarà la sfida a cui le organizzazioni transnazionali dovranno rispondere. Lontani dallo star system dei miliardari (pseudo)visionari e dai loro interventi provocatori tutti incentrati sul divide et impera e fortemente dentro le paure, le necessità e i bisogni delle popolazioni del Sud e del Nord del mondo.

Per riequilibrare gli impatti costi-benefici dell’AI a favore della società, e per garantire che la risposta necessaria sia accessibile a tutti, tassare le società di intelligenza artificiale è l’unico passo logico”, aggiunge l’esperta, che richiama anche le proposte in questa direzione del fondatore di Microsoft, Bill Gates, e del senatore democratico del Vermont, Bernie Sanders, da aggiornare tenendo conto dei progressi dell’intelligenza artificiale generativa.

Fonte : Wired