Quali sono le prove che hanno portato alla condanna in via definitiva di Olindo Romano e Rosa Bazzi

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Olindo Romano e Rosa Bazzi

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La strage di Erba di Olindo e Rosa
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È molto difficile provare a mettere i puntini sulle “i” quando soffia il vento del tifo, come sul caso che vede per protagonisti negativi Rosa Bazzi e Olindo Romano e come fulcro la terrificante strage di Erba. Sorprendentemente, gli innocentisti arrivano al punto – a mio parere assurdo – di paragonare Rosa e Olindo, una coppia legata da un rapporto patologico e condannata in via definitiva per la strage dei vicini di casa, ad Enzo Tortora. E cioè a un personaggio pubblico, conduttore televisivo, che dopo il processo di primo grado (avvenuto negli anni ’80, quando non c’erano ancora le prove del Dna), è stato assolto in appello e l’assoluzione confermata dalla cassazione. Cioè, Tortora non ha avuto tre gradi di giudizio.

Quindi proviamo, se è ancora possibile, a ragionare. Con una doppia premessa: se due innocenti fossero in galera, se avessero la possibilità di uscire, sarei felicissimo per loro e per la giustizia. E, inoltre, personalmente non ho nulla da guadagnare e nulla da perdere dalla loro responsabilità penale: non sono il consulente di nessuno, non conosco i giudici che hanno condannato, non ho amicizie a Erba, non ho mai parlato con i parenti delle vittime. Ma conosco il caso come può conoscerlo un giornalista che ha cominciato a seguire processi nel 1984 e ha letto le carte giudiziarie. Affrontiamo dunque (insieme) alcuni di questi “puntini” sulle i, tornano indietro all’11 dicembre 2006, in via Diaz 25, a Erba.

L’incendio

Sono le 20.25 circa e fiamme e fumo si levano da un appartamento nel cosiddetto condominio del Ghiaccio. Due vicini accorrono e uno di questi è un pompiere volontario. Trovano in un lago di sangue Mario Frigerio, ancora vivo, e riescono a estrarre dalla porta socchiusa Raffaella Castagna, massacrata con coltellate, sprangate e parzialmente bruciata. Di più non possono fare. Quando arrivano gli altri pompieri, trovano le altre vittime. Due sono nell’appartamento devastato, e cioè la signora Paola, mamma di Barbara, e il piccolo Youssef, due anni, figlio di Barbara e di suo marito Azouz Marzouk. L’ultima vittima, Valeria Cherubini, è al piano di sopra, accoltellata da assassino mancino, sprangata e con le tracce del fumo dell’incendio nei polmoni.

Le confessioni

Facciamo adesso un salto in avanti, sino al 10 gennaio, quando Olindo Romani e Rosa Bazzi confessano “l’omicidio plurimo”. I due, attenzione, vengono sentiti separatamente. Cioè: non hanno mai avuto la possibilità, dopo l’arresto, di mettersi d’accordo sulle versioni dei fatti. Sulle prime si sono infatti dichiarati innocenti, nonostante gli indizi fossero gravi e coincidenti. Prima domanda agli innocentisti: come si appicca un incendio in un appartamento? Esistono, vi potrà dire qualsiasi pompiere, tantissimi modi: liquido infiammabile; partire dalle tende; usare il gas; accendere il forno a microonde, e via dicendo. Eppure, marito e moglie (ripetiamolo: sentiti uno dopo l’altro, si chiamano “interrogatori incrociati”) dicono più o meno (torneremo sul più o meno) le stesse cose: abbiamo accatastato sui letti libri e giornali e a quel punto abbiamo dato fuoco. Gli inneschi, stabiliscono i pompieri, sono proprio i letti.

Il massacro

Tre le vittime nell’appartamento: appartengono alla stessa famiglia. Due fuori, i coniugi Mario e Valeria: vittime collaterali degli assassini. Erano andati a vedere che cosa stesse capitando. Finita la strage, tolti di mezzo i testimoni, Rosa e Olindo vanno al piano di sotto, nel box che hanno trasformato in lavanderia (sono letteralmente ossessionati dalla pulizia e dall’ordine), si cambiano e che cosa fanno? Devono disfarsi delle armi del delitto e procurarsi un possibile alibi. Quindi escono in auto. Attenzione, l’auto, contrariamente alle abitudini, quella sera non è stata posteggiata dentro il cortile, ma è già fuori. Attenzione ancora, sul battitacco dell’auto verrà trovata, poco dopo Natale, una macchia di sangue: ed è il sangue di Valeria Cherubini.

Serve ancora un salto in avanti, sino al giorno dell’interrogatorio: prima l’uno, poi l’altro, i coniugi raccontano: siamo andati a gettare gli abiti sporchi di sangue e le armi nel cassonetto (ne indicano il luogo); accanto al cassonetto, più in basso, c’è un ruscello e siccome avevamo ancora sangue addosso, ci sciacquiamo là. Il ruscello c’è, dicono le verifiche. Attenzione: sono questi due dettagli totalmente esterni alla scena del crimine. Nessuno avrebbe mai potuto “suggerirli”. Li potevano conoscere solo gli assassini.

Il piccolo Youssef

A uccidere sono in due, ma chi ha ucciso, sgozzandolo, un bambino di due anni? Su Internet trovate le confessioni, ma in ogni caso, mettiamo i puntini sulle i. Puntini molto dolorosi. Olindo dice che è stata Rosa, Rosa dice che è stata lei. Il bambino è stato ucciso da un killer mancino. Rosa è mancina.

La coppia patologica

Nessun rapporto con le famiglie di origine, nessun amico, nessuna frequentazione, Rosa e Olindo hanno vissuto l’uno per l’altra. Entrambi erano stati denunciati da Raffaella per le continue molestie condominiali e nel 2006 stavano per essere portati in giudizio. Quindi, un magistrato, verosimilmente, avrebbe dato loro torto, visto che Olindo Romano nel cortile era ritenuto, come spiegò un testimone, il “rompicoglioni”. E una volta, per protestare contro il chiasso nell’appartamento di Barbara a Azouz, aveva preso un vaso da fiori e gliel’aveva scagliato contro.

Il testimone

Lasciando da parte le altre prove valide, arriviamo a un punto essenziale. Non solo Rosa e Olindo sono inchiodati dalle prove raccolte, ma hanno lasciato dietro un testimone, Mario Frigerio. S’è salvato grazie a una malformazione della carotide. Ha recuperato presto le forze. La prova, si dice, si forma in aula. E in aula Frigerio ha indicato il massiccio Olindo come l’uomo che l’ha colpito e gli ha tagliato la gola: “Sei stato tu, inutile che mi guardi, disgraziato”.

Organizzare la strage

Siccome Rosa è analfabeta e Olindo non è che sia un’aquila, i sostenitori della loro innocenza spesso ripetono che l’azione, rapida e feroce, sia stata compiuta da criminali più svegli di loro: “Questi due non erano in grado di organizzare una strage”. Una frase che in realtà appare senza senso: infatti l’hanno pensata male, organizzata peggio, hanno seminato non pochi indizi e infatti sono stati presi.

L’istanza di revisione

È stato detto dai legali e da una schiera di consulenti che esistono nuove prove. Per il momento non le conosciamo, vedremo il 1 marzo che cosa accadrà nell’aula bresciana. Viene comunque ipotizzato dagli innocentisti che nel condominio del Ghiaccio, quell’11 dicembre, sia entrato un commando criminale. Se esiste – e ne dubito –  speriamo sia identificato, perché è un commando che invece di usare, come fa la mala, le pistole con il silenziatore, usa spranghe e coltelli ed è un vero inedito; perché ha agito senza sopralluogo (Erba è piccola, nessuno ha notato estranei); ed è stato capace di andar via senza farsi vedere da nessuno, nemmeno dal vicino di casa e pompiere accorso al primo filo di fumo; perché il misterioso commando si è volatilizzato e non ha lasciato tracce di sangue (con quel massacro?!) né in cortile né sui tetti.

In diciott’anni, nessuno di loro avrebbe “parlato”, nemmeno un fiato. Un commando così sinora non s’è mai incontrato, se non nei fumetti e nei film di fantascienza. E purtroppo qui siano sulla terra, dove le tragedie scatenate dalla follia, dall’ignoranza feroce e dalle liti condominiali non sono una rarità.

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Piero Colaprico. Liceo al collegio Morosini, laurea in legge a Milano, assunto nel 1985 da Repubblica, nominato nell’89 inviato speciale, nel 2006 responsabile del settore nera e giudiziaria, nel 2017 capo della redazione. Si è dimesso nel ’21, mantenendo varie collaborazioni giornalistiche. Scrittore di gialli e noir, ne ha scritti 15, alcuni tradotti in inglese, francese, romeno. Da un suo saggio, “Manager calibro 9”, è stato tratto il film “Lo spietato”. Scrive anche per il teatro, attualmente è direttore artistico del teatro Gerolamo, storica sala milanese.

Fonte : Fanpage