Le nuove tasse europee che chiede l’Italia

All’ultimo vertice a Bruxelles di dicembre, la premier italiana Giorgia Meloni ha sottolineato la necessità di istituire nuove “risorse proprie” per l’Ue. Ma di cosa si tratta? Qualcuno, soprattutto a destra, le chiama colloquialmente “eurotasse”. Di fatto, si tratta di risorse che l’Unione mette in cassa direttamente senza toccare i contributi degli Stati membri, i quali costituiscono ad oggi la parte più consistente del bilancio comunitario (oltre il 70%).

La Commissione vorrebbe aumentare il bilancio pluriennale (che copre il periodo 2021-2027) per sostenere l’Ucraina, ma anche per finanziare gli interessi maggiorati dei Pnrr dei Ventisette nonché per permettere la stipula di nuovi accordi sui migranti, come quelli con la Tunisia e l’Albania tanto cari al governo Meloni.

Ma come si fa ad aumentare il budget Ue? Ci sono sostanzialmente tre opzioni. O si aumentano le contribuzioni dei Paesi membri (basate sul reddito nazionale lordo), o si rimodulano le voci di spesa per togliere fondi da una parte e metterli da un’altra, oppure si aumentano proprio le risorse proprie.

Naturalmente, gli esecutivi nazionali hanno preferenze diverse. La Germania e altri “frugali” vorrebbero ottenere i soldi per le nuove priorità prendendoli quelli destinati alla Politica agricola comune (Pac) o alla politica di coesione, che offre sostegno alle regioni più arretrate. D’altro canto, contro un ridimensionamento della Pac si batte Parigi, mentre Roma non vuole perdere due importanti “fortini elettorali” come gli agricoltori e il Mezzogiorno. Da qui la passione della premier per una nuova generazione di eurotasse.

Quante sono le eurotasse?

Ad oggi, nelle tasse europee confluiscono una serie di imposte che Bruxelles riscuote direttamente. Una di esse è quella relativa all’Ets, cioè il sistema di scambio di quote di emissioni di CO2, di cui la Commissione vorrebbe aumentare (dal 25% al 30%) la percentuale che finisce nelle casse dell’Ue a danno di quella versata ai Paesi membri (che scenderebbe quindi dal 75% al 70%).

Ci sono poi i proventi dai dazi doganali e quelli dalla riscossione dell’Iva. Infine, sul tavolo resta la proposta di un dazio sul carbonio, il Cbam, da applicare sull’importazione in Ue di prodotti particolarmente inquinanti da parte di Paesi terzi. Bruxelles stima di poter guadagnare fino a 1,5 miliardi all’anno solo da questa misura tra il 2024 e il 2028, anche se per ora è in funzione solo una sua versione transitoria.

Le risorse proprie hanno inoltre acquisito importanza crescente durante la pandemia, dato che Bruxelles le usa per finanziare il Next Generation Eu. Lo schema è semplice: la Commissione si indebita emettendo titoli sui mercati e i soldi ricavati li gira agli Stati per implementare i Pnrr.

La proposta di Strasburgo

Ma quel debito va ripagato, e così l’Eurocamera ha proposto lo scorso maggio l’introduzione di quattro nuove tasse europee. Gli eurodeputati si erano detti “fortemente preoccupati” che gli importi generati dalle nuove risorse proprie non saranno sufficienti a coprire tutti i rimborsi e i costi di prestito del Next Generation, stimati in almeno 15 miliardi di euro all’anno fino al 2058.

Tra le nuove eurotasse c’è un’imposta sulle grandi società che prevede una “base imponibile comune” in tutta l’Ue, i cui proventi dovrebbero poi essere distribuiti tra gli Stati membri mediante un modello di ripartizione. Una seconda tassa sarebbe sulle criptovalute, mentre una terza imposta andrebbe prelevata sulle transazioni finanziarie eseguite all’interno dell’Unione. Infine, i deputati parlano di una tassa “etica”, ossia un’imposta per quelle imprese straniere che pagano i lavoratori al di sotto della soglia di povertà e che poi esportano i loro prodotti in Europa.

Le richieste della Commissione

Il mese successivo, a giugno 2023, la Commissione ha fatto una sua proposta per aumentare le risorse proprie del blocco di 75 miliardi di euro, così ripartiti: 50 miliardi per sostenere Kiev, 15 miliardi per esternalizzare ancora una volta la gestione dei flussi migratori e 10 miliardi per investimenti strutturali in deep tech, tecnologie pulite e biotecnologie (per potenziare la cosiddetta “autonomia strategica” europea).

Sono soldi che si vanno ad aggiungere ai 1.824,3 miliardi su cui i Ventisette avevano trovato l’accordo nel 2020, in piena pandemia: 1.074,3 miliardi di budget (il Quadro finanziario pluriennale, o Qfp) e 750 miliardi di Next Generation Eu per finanziare la ripresa dopo la crisi del Covid-19. L’iniezione di nuova liquidità, ha sostenuto von der Leyen, si è resa dunque necessaria per far fronte alle nuove sfide emerse negli ultimi anni.

E tra queste sfide, la prima è il supporto all’Ucraina: non solo rimpinguare il bilancio di Kiev, ma anche gettare le basi per la ricostruzione. Dei 50 miliardi che la Commissione vorrebbe destinare a questo scopo, solo una piccola parte sarà erogata sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto, mentre il resto verrà stanziata sotto forma di prestiti. Come avviene coi Pnrr, l’Ucraina dovrà dimostrare di progredire sulla strada delle riforme per ottenere di volta in volta le tranche di pagamenti che le spettano.

Questa, almeno, è l’idea. Dopodiché, la realtà potrebbe essere più complessa, visto che il premier ungherese Viktor Orbán ha puntato i piedi lo scorso dicembre ed è riuscito a bloccare l’erogazione degli aiuti extra a Kiev, almeno per il momento. E causando qualche grattacapo anche a Roma, dato che, come si diceva, nella revisione del budget Ue gli stanziamenti per l’Ucraina e quelli per i migranti sono legati a filo doppio.

Non una partita semplice, insomma, che ancora una volta dovrà essere sbloccata all’ultimo centesimo dagli Stati membri.

Fonte : Today