Ludovico Mazzolino, Adorazione dei Magi, Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca
Questa seconda tappa del progetto racconta le vicende della pittura del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso (1505), fino alla scomparsa di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città. Il tramonto della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti lascia a Ferrara la difficile eredità di un ricambio artistico di alto livello. Nel 1496 la scelta di ingaggiare a corte Boccaccio Boccaccino indica la volontà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido. All’inizio del nuovo secolo si sviluppa una nuova scuola, meno endemica e più aperta agli scambi con altri centri, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo e Giovanni Luteri detto il Dosso.
I nomi di Garofalo e Dosso sono i più noti al pubblico, e il loro percorso è stato approfondito in maniera organica in diverse occasioni (anche nella stessa Ferrara nelle mostre Garofalo pittore della Ferrara estense del 2008 e Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento del 1998). Per Mazzolino e Ortolano si tratta invece di un debutto assoluto, necessario per illustrare compiutamente e comprendere meglio il variegato panorama della pittura ferrarese dei primi decenni del XVI secolo.
Nati a Ferrara negli stessi anni, i due maestri percorrono strade piuttosto diverse: Ludovico Mazzolino (c. 1480 – c. 1528), formatosi sui modelli di Ercole de’ Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta il suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura tedesca, da Albrecht Dürer a Martin Schongauer. Nonostante dimostri di conoscere Boccaccino e la pittura veneziana, nonché Raffaello e la cultura antica, la sua arte è sempre animata da accenti visionari e da una vitalità rumorosa che lo pone a buon diritto tra gli “eccentrici” attivi nell’Italia settentrionale. Si specializza in quadri di piccolo formato d’impeccabile fattura – destinati al collezionismo privato e a personaggi gravitanti attorno alla corte – raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti fisionomici caricati, quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci.
L’estro bizzarro di Mazzolino nel contesto artistico ferrarese d’inizio Cinquecento spicca con evidenza ancora maggiore quando lo si confronta con l’atteggiamento di Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano (1480/85 – c. 1530), sempre caratterizzato invece da un naturalismo convinto e sincero. Dopo l’esordio influenzato dai modi dolci di Boccaccino, Costa e Francia, Ortolano si orienta dapprima verso la cultura veneziana di Giorgione per poi avvicinarsi alle novità proposte da Raffaello. Veri e propri capolavori, connotati da «classicismo […] naturalizzato per via del lume illusionistico» (Longhi), sono le grandi pale eseguite nel corso del terzo decennio: le due Deposizioni del Museo di Capodimonte e della Galleria Borghese, il San Sebastiano tra i santi Rocco e Demetrio della National Gallery, la Natività della Galleria Doria Pamphilj. Contestualmente produce numerosi quadri destinati alla devozione privata, dove l’ispirazione raffaellesca si accende di suggestioni venete, evidenti soprattutto nella resa del paesaggio. Impossibile non rimanere incantati dalla spontaneità con cui l’artista si approccia alla realtà. Una luce chiara isola i personaggi e indugia silenziosa sugli oggetti; nella (apparente) semplicità delle composizioni si avverte il senso dell’arcano.
Tra i riferimenti dell’Ortolano figura certamente Benvenuto Tisi detto il Garofalo (1481 – 1559). Formatosi presso Domenico Panetti e Boccaccino, dimostra fin da giovane una grande intelligenza figurativa, che gli consente di misurarsi tempestivamente con tutte le novità che andavano affiorando nei maggiori centri della penisola. Durante il primo decennio del Cinquecento si accosta alla pittura veneziana e a Giorgione, per poi spostare il baricentro dei propri interessi verso l’Italia centrale. Nel corso della sua lunga carriera, Garofalo è il principale interprete e divulgatore ferrarese dello stile di Raffaello, di cui comprende perfettamente la portata e di cui segue lo svolgimento con attenta diligenza. Le sue pale d’altare, dalla maniera pacata ed elegante, popolano le chiese cittadine, mentre i preziosi dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero nelle collezioni private.
Parallelamente a Garofalo si muove Giovanni Luteri, detto il Dosso (c. 1486 – 1542), uno degli artisti di punta della corte di Ferrara sotto i governi di Alfonso I e di Ercole II d’Este. Nato nel piccolo ducato di Mirandola, esordisce a Mantova e nel 1513 si trasferisce a Ferrara dove lavora (proprio accanto a Garofalo) al celebre polittico Costabili nella chiesa di Sant’Andrea (oggi alla Pinacoteca Nazionale). Durante la giovinezza la sua pittura risente dell’influenza di Giorgione e Tiziano, dai quali trae una magnifica profondità di colore e una luce tutta veneziana. All’epoca della sua prima opera sicuramente datata, la splendida Madonna col Bambino in gloria e santi per il duomo di Modena (1521), è già avvenuto un contatto con Michelangelo e la cultura romana: da qui in poi Dosso sviluppa uno stile personale, colto e divertito, grazie anche a una particolare sintonia con Alfonso d’Este. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle commissioni ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dall’Ariosto.
La scena della pittura cittadina non sarebbe infine completa senza artisti come il compunto Domenico Panetti, o il soave e misterioso Maestro dell’elevazione della Maddalena, o ancora il misurato Nicolò Pisano. Grazie al contributo di questi pittori, anch’essi presenti nel percorso espositivo, che comprenderà anche importanti opere esposte stabilmente nelle sale della Pinacoteca Nazionale al piano nobile di Palazzo dei Diamanti, la mostra accompagnerà il visitatore attraverso una stagione incredibilmente ricca, dove l’antico e il moderno, il sacro e il profano, la storia e la fiaba si fondono in un mondo figurativo che può definirsi, in una parola, ferrarese.
Fonte : Arte.it