Taipei – Un imponente memoriale con all’interno un museo coi suoi cimeli e una grande statua con tanto di guardia d’onore e alzabandiera. Ma anche un’esposizione sulla sua repressione dell’opposizione a Taiwan durante la legge marziale e quella che è passata alla storia come era del “terrore bianco”. E un’ampia piazza che è stata rinominata Liberty Square. Pochi personaggi della storia recente sono così controversi come Chiang Kai-shek, anche all’interno di quella che può essere considerata la loro patria. Un personaggio di cui per la prima volta vengono ora pubblicati i diari.
Nonostante talvolta venga presentato da occasionali visitatori come “padre di Taiwan”, Chiang è semmai colui che ha costantemente represso qualsiasi forma di alterità identitaria rispetto alla cornice della Repubblica di Cina (nome ufficiale con cui Taiwan è indipendente de facto) che lui sognava di ri-proiettare anche dall’altra parte dello Stretto, sul “continente”. Nel lungo processo di transizione democratica avviato dal figlio Chiang Ching-kuo, a partire dalla rimozione della legge marziale imposta nel 1947 dopo, i taiwanesi hanno iniziato a interrogarsi sulla figura del leader arrivato a Taiwan nel 1949, in fuga dalla Cina continentale dopo aver perso la guerra civile contro il Partito comunista di Mao Zedong. Una buona parte di loro lo considera un dittatore, una sorta di “nuovo colonizzatore” dopo l’epoca di dominazione giapponese conclusa con la fine della Seconda Guerra Mondiale. C’è invece chi lo considera ancora il leader che ha di fatto salvaguardato il mancato assorbimento di Taiwan nella Repubblica Popolare Cinese.
Chiang Kai-shek tra statue, proteste e diari
Prospettive dicotomiche che trovano espressione anche nella cronaca degli ultimi anni. Dal 2016, dopo la sconfitta del Kuomintang (il partito nazionalista cinese di cui Chiang era leader) e il ritorno al potere del Partito progressista democratico (Dpp) con Tsai Ing-wen, la ridiscussione del ruolo di Chiang ha preso ulteriore quota. Nel 2017, in occasione del 70esimo anniversario dell’incidente del 28 febbraio (durante il quale furono uccisi diversi taiwanesi in rivolta contro il governo locale di Chen Yi) e del 30esimo anniversario della revoca della legge marziale, il ministero della Cultura di Taipei ha annunciato l’intenzione di trasformare la sala in un centro nazionale per “affrontare la storia, riconoscere l’agonia e rispettare i diritti umani“. Nel 2018, un gruppo di attivisti studenteschi ha gettato vernice sulla statua, due di loro sono stati arrestati e multati. In molti hanno avanzato la proposta di rimuoverla, come già accaduto a partire dal 2000 (l’anno della prima ascesa al potere del Dpp) per tantissime altri esemplari ritirati dalle strade, piazze e scuole di Taiwan per essere “pensionate” al parco di Cihu. Non più tardi di ottobre 2023 c’è stata una nuova protesta in cui si chiedeva l’abbattimento del memoriale.
Altrove, invece, le statue e le immagini di Chiang vengono esposte ancora in modo diffuso. Per esempio a Kinmen e Matsu, due piccoli arcipelaghi a pochi chilometri dalle coste del Fujian cinese ma amministrate da Taipei. Qui siamo davvero nella manifestazione fisica della Repubblica di Cina, visto che si tratta di due territori dove i cittadini si percepiscono come “cinesi” e non “taiwanesi”. Non solo per una questione geografica, ma anche perché Kinmen e Matsu non hanno vissuto la colonizzazione giapponese e hanno dunque sempre fatto parte della Repubblica di Cina. Va infatti ricordata la cruciale distinzione interna tra waishengren, i cinesi continentali arrivati a Taiwan dopo il 1945, e i benshengren, nativi taiwanesi di etnia han (la stessa maggioritaria anche in Cina continentale). Una distinzione interetnica che ha a lungo provocato tensioni interne, visto che con Chiang arrivarono circa 2 milioni di persone dal continente, quando sull’isola principale di Taiwan la popolazione era inferiore ai 6 milioni. Il gruppo minoritario prese possesso di tutte le posizioni apicali a livello politico ed economico, in qualche modo fomentando quel sentimento identitario taiwanese che ha trovato poi espressione con la transizione democratica.
Che cosa c’è dentro i diari di Chiang Kai-shek
Una panoramica utile a capire la portata della prima pubblicazione dei diari di Chiang, resa possibile dopo che l’Academia Historica (l’archivio ufficiale di Taiwan per i documenti e i manufatti presidenziali) ha vinto una decennale battaglia legale per la restituzione dei diari dell’ex leader e di suo figlio, che sono stati conservati per quasi 20 anni presso l’Hoover Institution dell’Università di Stanford. Gli archivi dell’istituzione contenevano le annotazioni del diario di Chiang Kai-shek dal 1917 al 1972 e di suo figlio dal 1937 al 1978, oltre a lettere, manoscritti, telegrammi diplomatici e altra corrispondenza tra i documenti.
Fonte : Wired