AGI – “Nelle acque del porto galleggiava di tutto: cadaveri, carretti, mobili, carcasse d’animali, travi, botti, bastimenti affondati tale era l’intensità della scossa e la violenza con cui le pareti venivano smosse e il sottosuolo si agitava, che non solo le pareti si piegavano come fogli di carta, ma io stesso, che quel mattino mi trovavo in redazione, mi sentii sbalzare due o tre volte all’altezza di un metro dal pavimento. Uscito da sotto le macerie, tenendomi lungo il muro tentai di camminare per le strade. Il rumore delle case crollanti mi assordava non vi era che un lungo, lugubre, immenso strillo da tutti i punti della città: Aiuto, Aiuto!”: all’alba del 28 dicembre 1908, trascorsi ventisette secondi dalle 5.20, un terremoto di magnitudo 7.1 distrusse Messina e Reggio Calabria.
L’ora esatta, in cui il direttore della Gazzetta di Messina Riccardo Vadalà fu svegliato dalla scossa, venne sigillata dal sismogramma dell’Osservatorio di Messina, salvato dal sismologo Emilio Oddone, che fu tra i primi studiosi a giungere sui luoghi del disastro. La durata della scossa percepita dalle persone fu di oltre 40 secondi e, secondo la maggioranza dei testimoni, fu divisa in due o tre fasi distinte, di cui l’ultima molto più violenta.
Il valore di magnitudo, spiega l’Istituto nazionale di vulcanologia (Ingv) in una story maps map pubblicata sul sito, giunge dai dati convergenti delle analisi delle registrazioni strumentali e delle stime macrosismiche.
Il sisma ebbe epicentro in mare e generò il maremoto più rovinoso di cui si ha memoria in Italia con effetti devastanti sulle coste della Sicilia orientale e il sud della Calabria. Il mare si era ritirato per alcuni minuti, poi si tre grande onde si abbatterono sulle coste. Non ovunque, spiega l’Ingv, l’onda più grande fu la prima; in alcuni punti della costa fu la seconda. Le oscillazioni del livello del mare perdurarono molte ore, diminuendo gradualmente.
Le prime onde di maremoto si abbatterono sulle coste che affacciano sullo Stretto e raggiunsero la Sicilia orientale dopo circa 5-10 minuti dalla scossa principale, aggravando ulteriormente la devastazione causata dal sisma. Le vittime del maremoto furono diverse centinaia, forse 2.000 o più, e si sommarono alle circa 80.000 causate dalla scossa di terremoto. In alcune delle località il maremoto aggravò enormemente le distruzioni causate dal terremoto e fece molte vittime tra le persone scampate ai crolli.
In questi paesi le devastazioni furono dovute alla posizione degli abitati edificati a breve distanza da basse spiagge sabbiose. In altre località del Messinese, come Alì Terme, Fondachello o Giampilieri Marina, dove pure lo tsunami raggiunse altezze impressionanti, i danni furono limitati e non ci furono vittime perchè non c’erano case edificate vicino alla spiaggia. Il maremoto raggiunse la sua massima intensità sulla costa calabrese vicino a Lazzaro, Gallico e Pellaro, con onde di altezza massima di 13 metri.
Sulle costa siciliana i massimi effetti furono osservati a Giardini Naxos e S. Alessio Siculo dove fu misurato un run-up massimo di 12 metri. Le onde di maremoto si propagarono a grandi distanze, e gli effetti furono osservati sulle coste meridionali della Sicilia almeno fino a Porto Empedocle, dove il livello del mare crebbe di 50 centimetri e i marinai ebbero difficoltà ad attraccare con le loro imbarcazioni nel porto.
Nel porto di Messina l’altezza delle onde non superò i 3 metri e nelle località a nord della città fino a Torre Faro fu in genere minore. Sulla costa settentrionale della Sicilia, il maremoto fu meno sensibile e l’altezza fu sempre minore di un metro. Sulla costa meridionale dell’isola e più a sud, nell’arcipelago maltese, furono invece rilevate altezze comprese tra 0.70 e 2 metri. Sulla costa calabrese l’altezza massima delle onde fu compresa tra i 6 e gli 11 metri circa nel tratto da Gallico Marina a Lazzaro, con un massimo di circa 13 metri rilevato in un punto poco a sud del paese di Pellaro. A nord di quest’area, il maremoto ebbe dimensioni ancora rilevanti sulle coste reggine dello Stretto fino alla Punta Pezzo, e fu invece molto ridotto lungo il litorale tirrenico della Calabria.
I danni più gravi si ebbero in un’area di circa 600 km quadrati: in 76 località della provincia di Reggio Calabria e in 14 della provincia di Messina ci furono distruzioni devastanti, estese dal 70 al 100% delle costruzioni. La scossa fu percepita dalle persone in un’area vastissima: in direzione nord fino all’isola d’Ischia e alla provincia di Campobasso; verso est fino al Montenegro, all’Albania e alle isole Ionie della Grecia; in direzione sud fino all’arcipelago maltese; a ovest fino a Ustica e ad alcune località della provincia di Trapani.
A Messina il terremoto fu catastrofico e distrusse completamente il tessuto urbano: abitazioni, edifici pubblici civili ed ecclesiastici, infrastrutture. Solo due case risultarono illese: tutte le altre crollarono totalmente o ne rimasero in piedi solo le pareti esterne, mentre collassarono tetti, solai, muri divisori e scale. In Calabria il terremoto ebbe effetti distruttivi in un’area molto più estesa di quella siciliana, comprendente tutto il versante occidentale del massiccio dell’Aspromonte.
In molte località, inoltre, i danni del 1908 si sovrapposero a quelli non adeguatamente riparati causati dai precedenti terremoti del 1894, 1905 e 1907. Oltre che a Reggio Calabria, la scossa fu disastrosa in diversi centri abitati importanti, come Calanna, Sant’Alessio in Aspromonte, Sant’Eufemia in Aspromonte, Villa San Giovanni, Palmi e in tutte le localita’ della costa, a nord e a sud di Reggio, rimaste poi devastate anche dallo tsunami che seguì la scossa.
A Reggio le distruzioni, di entità inferiore rispetto a Messina, riguardarono l’80% degli edifici. Anche in questo caso, il disastro fu causato non solo dall’estrema violenza della scossa, ma anche da fattori di debolezza strutturale dell’edilizia urbana. Sia a Messina sia a Reggio Calabria fu quasi azzerato il patrimonio storico-monumentale. La scomparsa di chiese, monasteri e palazzi, distrutti o demoliti dopo il terremoto, cancellò pressochè totalmente l’eredità storica urbana delle due città, già depauperata da precedenti terremoti.
Il sisma ebbe un impatto ambientale e geologico sull area dello Stretto, quella in cui dovrebbe sorgere il Ponte. Proprio lì lo scuotimento fu maggiore. Fu misurato, spiega l’Ingv, un abbassamento del suolo della parte bassa di Messina; un fenomeno simile fu osservato anche a Reggio Calabria e a Villa San Giovanni.
In un’area molto vasta della Calabria e della Sicilia il terremoto attivò frane, smottamenti e scoscendimenti; si aprirono spaccature nel suolo, in generale limitate ai terreni superficiali, e ci furono parziali spostamenti e lenti o rapidi scivolamenti dei terreni. All’origine di quel sisma vi è una faglia all’interno dello Stretto di Messina, individuata con precisione nel 2021 dall’Ingv. Lunga dai 30 ai 40 km, si estende tra i 3-5 e i 12-20 km di profondità.
Una ‘ecografia’ del fondale marino basata principalmente sulla interpretazione di 35 profili sismici ne rivela – spiega l’Ingv in un documento di due anni fa riferendosi a una ricerca internazionale – un’attività recente poichè disloca il fondale marino con scarpate fino a 80 metri di altezza.
“La struttura corre lungo l’asse dello Stretto ed è individuabile a circa 3 km dalle coste della Sicilia – spiega Giovanni Barreca, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Universita’ di Catania e coordinatore della ricerca – e alla latitudine di Messina, la spaccatura curva verso Est penetrando nell’entroterra calabro per proseguire poi lungo l’asta fluviale del torrente Catona, una incisione fluviale tra Villa S. Giovanni a Nord e Reggio Calabria a Sud. La faglia è inclinata verso Est e raggiunge la lunghezza massima di 34,5 km”.
“Secondo le relazioni lunghezza-magnitudo – prosegue l’Ingv – la faglia è in grado di scatenare terremoti di magnitudo 6.9, una energia molto simile a quella liberata durante il terremoto del 1908. Questo dato, insieme all’analisi critica delle fonti storiche e allo sviluppo di modelli matematici di dislocazione, suggerisce di fatto che la struttura tettonica individuata sia verosimilmente proprio quella che più di 100 anni fa causò la più grave sciagura sismica del ‘900″.
L’Ingv, riferendosi ancora a quella ricerca, si sofferma sull’allontanamento in atto tra la Sicilia e la Calabria (circa 3,5 mm all’anno). La ricerca individua “il motore nelle profondità crostali dove una ulteriore discontinuità è indiziata di favorire lo movimento verso est di un esteso blocco di crosta comprendente l’area dello Stretto e parte della Calabria meridionale. Questo movimento avverrebbe sotto l’effetto della gravità ed in maniera quasi asismica (cioè non generando terremoti di elevata energia) ma incoraggerebbe la rottura fragile di alcune faglie più superficiali, tra cui la rottura cosismica individuata nello studio, con liberazione di energia elastica”.
Lo studio, conclude l’Ingv, ha portato dunque “ad una revisione critica della letteratura esistente fornendo nuovi vincoli sulla sismo-tettonica dello Stretto di Messina, una delle zone a più alto rischio sismico d’Italia, e soprattutto aggiunge un tassello significativo nella identificazione della faglia responsabile del terremoto del 28 dicembre 1908. Il modello sismo-tettonico aggiornato e l’ubicazione della possibile faglia responsabile del grande terremoto potrebbero, infine, rappresentare un utile strumento di base per la progettazione in sicurezza di future infrastrutture nell’area”.
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Fonte : Agi