Qui in Sardegna abbiamo spesso la sensazione che il resto d’Italia si interessi delle vicende isolane solo quando si avvicinano le vacanze estive. Negli altri mesi, si spengono i riflettori. Ma stavolta abbiamo fatto del nostro meglio per invertire il trend. Perché lo spettacolo politico che va in scena, a volte, ha del tragicomico e merita di essere raccontato. Ci sono le elezioni regionali, si vota domenica 25 febbraio 2024 (l’anno prossimo si vota anche, in date diverse, in Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Umbria). Le ripercussioni a livello nazionale, come sempre, saranno inevitabili. Così come le figuracce epocali.
Il centrosinistra ha una strategia per perdere ancora
Da una parte c’è il centrodestra che litiga sulla ricandidatura: Salvini spinge per il sardoleghista Christian Solinas, governatore in carica, mentre Meloni vuole puntare tutte le sue fiches sul sindaco di Cagliari, il fratello d’Italia Paolo Truzzu. Non c’è alcun accordo tra le tre anime Forza Italia, Lega e FdI, e non è chiaro chi avrà la meglio.
Da ridere, o da piangere (dipende dai punti di vista) quel che accade invece nello schieramento opposto. Verrebbe da pensare che, anche solo in nome della più banale alternanza, la vittoria per un vasto, seppur vago, agglomerato progressista sarebbe a portata di mano: la sanità sarda è allo sfascio, i trasporti interni e verso la Penisola da terzo mondo (la continuità territoriale per i residenti ogni anno che passa garantisce meno diritti), la natalità ai minimi termini, la disoccupazione giovanile sempre alle stelle. Che Solinas, semplicemente, non abbia governato bene, lo sostengono praticamente tutti. E poi la vittoria del fedelissimo di Salvini è un ricordo di un passato ormai lontano; risale a quella primavera del 2019 nella quale il leader del Carroccio fece una campagna elettorale trionfale anche nell’isola e puntava a fare lo scalpo a Giuseppe Conte pure a livello nazionale. Poi qualche mese dopo ci fu il suicidio (politico, s’intende) del Papeete, ma questa è un’altra storia.
Un suicidio politico
Torniamo al centrosinistra. Fino a qualche settimana fa si pensava che un accordo Pd-M5s (più altre formazioni “minori”) su un nome condiviso, stimato e riconoscibile avrebbe garantito un successo, o comunque avrebbe permesso di affrontare qualsiasi candidato del mondo “conservatore” con una certa qual dose di sicurezza. La coalizione del “campo largo” a trazione Pd-M5S aveva trovato per tempo la quadra sulla candidatura di Alessandra Todde, deputata pentastellata, ex viceministra allo Sviluppo, imprenditrice, contiana doc ma figura stimata e apprezzata anche da chi con il mondo Cinque Stelle non ha mai avuto a che fare.
Tutto fatto? Macché. Renato Soru, ex presidente della Regione dal 2004 al 2009, ora a capo della “coalizione sarda” di cui fanno parte anche Progetto Sardegna, Progressisti, Liberu, Più Europa, Vota Sardigna, Rifondazione Comunista, ha deciso di non fare un passo indietro e di candidarsi. Soru voleva le primarie, non le ha ottenute. Dato che nella commedia all’italiana un accenno alla famiglia non può mancare, Camilla Soru, componente della direzione nazionale del Pd, nonché figlia di Renato, si è schierata apertamente con Todde: “Mio padre non ha fatto opposizione in questi anni di governo di centrodestra. Io diffido sempre da chi si sveglia soltanto nelle fasi pre-elettorali, perché c’è qualcosa che non torna se il fuoco sacro per la politica ti si accende soltanto quando c’è un ruolo apicale disponibile da prendere”.
Renato Soru, intanto, ha polemicamente lasciato il Pd senza guardarsi più indietro, e mantiene un serbatoio di consensi abbastanza pesante, di tutto rispetto. Sposta ancora voti il patron di Tiscali, e non pochi. Dalla sua ha i Progressisti, partito ignoto ai più ma molto radicato a Cagliari e dintorni, e gli equilibri così cambiano parecchio. Anche i renziani e i calendiani sardi potrebbero schierarsi con lui, alla fin fine. Gli elettori, o almeno la stragrande maggioranza di loro, non sembrano capire le ragioni di un harakiri di tal fatta. Ma che importa.
Un centrosinistra diviso non ha alcuna chance
La legge elettorale sarda, come se non bastasse, è un piccolo abominio: prevede un premio di maggioranza del 60 per cento dei seggi se il candidato più votato prende il 40 per cento dei voti: è accaduto sia a Pigliaru che a Solinas nelle ultime due tornate elettorali, e garantisce governabilità. Ma ha anche dei “contro” senza precedenti per quel che riguarda la rappresentanza. C’è un’altissima soglia di sbarramento del 10% per le coalizioni: nel 2014 Michela Murgia alla guida di Sardegna Possibile prese 76mila voti ma rimase fuori dal consiglio regionale.
C’è ancora chi spera in una ricomposizione in extremis, anche se i diretti interessati (Soru in primis) lo escludono nella maniera più assoluta. Un centrosinistra diviso non ha alcuna chance. E nonostante i dissidi, è invece chiaro che, come da trent’anni a questa parte a livello locale e nazionale, il centrodestra in un modo o nell’altro si presenterà compatto come un blocco di cemento alle urne. Quando si vota, c’è chi fa quadrato e chi fa disastri. La vocazione all’autodistruzione della sinistra italiana sta per toccare nuove vette.
Sipario
Fino alla presentazione delle liste ovviamente proseguiranno le interlocuzioni tra i due schieramenti di centrosinistra, ed è possibile fino all’ultimo istante un passo indietro di Soru (chi scrive ci scommetterebbe i suoi proverbiali due centesimi), che però assicura di voler proseguire nella creazione di una coalizione progressista, centrista e indipendentista (qualsiasi cosa voglia dire questo particolarissimo mix di aggettivi).
Ma forse è tutto un trucco, uno scherzo, una strategia insolita, un teatrino dell’assurdo, questo messo in scena da quel che resta della sinistra che fu: far parlare della Sardegna anche in bassa stagione, quando le spiagge da sogno sono deserte e il turismo ai minimi termini. In tal caso, obiettivo raggiunto. E mi raccomando: la prossima volta che la percentuale dell’astensione sfonderà nuovi record, stupiamoci e domandiamoci pensosamente il perché della disaffezione e del disinteresse di ampie fasce di popolazione nei confronti di una politica percepita come incomprensibile.
Fonte : Today