L’associazione Atažurt si va affermando di fatto come forza politica di opposizione (e pro-diritti) del Paese asiatico. E cerca di trasformarsi in partito nonostante l’opposizione di Astana. La battaglia contro le persecuzioni del governo cinese nella regione a maggioranza musulmana. La ricerca di sostegno economico e l’obiettivo di difesa di tutte le etnie in nome di un “nazionalismo buono”.
Mosca (AsiaNews) – L’associazione Atažurt, nata in Kazakistan per diffondere le notizie sulle repressioni in Cina nei confronti delle minoranze turcofone nello Xinjiang, non aveva mai avuto l’intenzione di proporsi come forza politica di opposizione nel Paese. Almeno fino a che il regime di Astana, alleato di Pechino, non ha cominciato a considerarla come tale. Ora ha quindi deciso di trasformarsi in un partito, nonostante i suoi leader lamentino che le autorità stanno cercando di ostacolare questo processo.
Tutto era cominciato nel 2017, quando Gulžan Tokhtasyn aveva chiesto a un’amica di prendersi cura dei suoi figli per una settimana, mentre lei si recava in Cina per affari urgenti. Poco prima da Pechino era stato mandato nello Xinjiang un nuovo segretario locale del partito comunista, Chen Quanguo detto “il castigatore”, sostenitore della linea dura contro le minoranze prima in Tibet e quindi nei confronti di uiguri e altre minoranze turcofone e musulmane della regione. Gulžan non è riuscita a tornare dopo una settimana, finendo nel vortice degli arresti di massa ordinati da Quanguo, in quanto non aveva potuto ottenere la piena cittadinanza del Kazakistan.
Anche la sua amica è finita nei guai, accusata dal direttore della scuola di Almaty di accudire a bambini non suoi senza delega ufficiale. Insieme ad altri kazachi di provenienza cinese misero in piedi il gruppo di Atažurt, per difendere i propri diritti, e cominciando a diffondere in patria e all’estero le notizie sulle persecuzioni nello Xinjiang.
Tokhtasyn è riuscita con fatica a tornare in Kazakistan, diventando una delle maggiori esponenti dell’associazione che ha tentato di registrarsi come partito al ministero della Giustizia già lo scorso maggio, ottenendo un rifiuto. Ora lei stessa conferma di possedere “tutte le condizioni necessarie per partecipare attivamente alla vita politica del Paese, senza timori del potente vicino”. I membri di Atažurt non avevano intenzione di proporsi come oppositori, ma dalle autorità hanno cominciato a venire moniti sempre più severi, paragonando gli attivisti ad altri movimenti soppressi dal regime.
Negli ultimi anni le persecuzioni contro uiguri e kazachi dello Xinjiang sono diventate sempre più estese e più dure, con tanti compatrioti finiti nei campi di rieducazione, facendo crescere la popolarità di Atažurt nella società kazaca. Come spiegano i suoi membri, “la nostra attenzione all’inizio era concentrata sulla Cina, ma ora abbiamo capito che il regime di Astana è complice dei cinesi, e non possiamo rimanere fermi a guardare”. Molti kazachi che sono riusciti a lasciare lo Xinjiang rimangono passivi e timorosi di ritorsioni anche in patria, ma il gruppo li sostiene e li sprona a dare con coraggio la propria testimonianza.
L’associazione ha eletto come proprio capo uno dei leader più attivi, Bekzat Maksutkhanul, che sta cercando di ripresentare il partito per la registrazione con il nome di Nagiz Atažurt, il “vero Atažurt”. Tutti i membri attivi hanno registrato un video con il proprio racconto personale sulle storie e le motivazioni di questo impegno. Alcuni sono stati fatti oggetto delle attenzioni delle forze dell’ordine, che hanno fatto comminare delle multe anche solo per gli appelli su Facebook, considerati illegali senza vera motivazione.
Ora i membri di Atažurt cercano anche sostegni economici per far fronte alle necessità dell’attività politica e della difesa giudiziaria della propria causa. Maksutkhanul si dichiara ottimista, e spiega che “il nostro sarà un partito di nazionalisti, ma di buoni nazionalisti: vogliamo difendere i diritti costituzionali di tutte le etnie del Kazakistan, ottenendo una società giusta in cui tutti vivono alla pari, vogliamo salvare il Kazakistan come una vera nazione”. Solo così il Paese potrà sviluppare una vera democrazia, e “allora la Cina sarà costretta a iniziare un vero dialogo con noi”.
Fonte : Asia