Quando la dipendenza dal lavoro peggiora l’umore e la salute

La spiegazione più plausibile per la maggiore vulnerabilità delle donne alle conseguenze negative della dipendenza dal lavoro è dovuta a quei pregiudizi di genere che le lavoratrici subiscono più o meno inconsapevolmente da parte della società, secondo cui – essendo donne – dovrebbero investire più energie nella cura della famiglia, che nel loro impiego. “È come se le lavoratrici compulsive fossero sottoposte a una doppia pressione”, spiega Balducci. “Da un lato quella sociale, proveniente dal mondo esterno, dovuta a quegli stereotipi di genere ancora radicati nella nostra cultura; dall’altro lato quella interna del workaholism”. Nonostante il cambiamento culturale in atto, questi schemi sociali vengono ancora interiorizzati dalle stesse donne, le quali vivono quindi una sorta di conflitto di ruolo. “Per gli uomini, invece, le pressioni sociali non entrano in conflitto con quelle dovute al workaholism, perché entrambe spingono nella stessa direzione, cioè a investire le proprie energie nel lavoro”, aggiunge Balducci.

Il lavoro eccessivo nuoce alla mente e al fisico

Come anticipato, gli effetti negativi della dipendenza dal lavoro non coinvolgono solo la sfera emotiva, ma possono interferire anche con la salute fisica e mentale di chi ne soffre aumentando, ad esempio, il rischio di incappare nella sindrome da burnout (una condizione di annichilimento interiore, simile a un senso di apatia, dovuto all’esaurimento di tutte le energie cognitive ed emotive). “Grazie ad alcuni studi longitudinali (sul lungo periodo, ndr), abbiamo scoperto che le persone dipendenti dal lavoro riportano sintomi di ansia e depressione già dopo un anno dall’inizio della loro ossessione”, sottolinea Balducci. Da alcune ricerche precedenti emerge inoltre come la dipendenza da lavoro possa avere delle ripercussioni importanti anche sulla salute fisica. “Questa condizione aumenta la probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari ed espone persino al rischio di morte da superlavoro, ovvero di un decesso a cui l’eccesso di lavoro ha contribuito direttamente o indirettamente”, segnala il professore.

Ne deriva l’importanza di una presa di coscienza da parte delle aziende, delle istituzioni e dei datori di lavoro in generale, i quali dovrebbero impegnarsi attivamente per cercare prevenire i casi di workaholism e di limitarne gli effetti più gravi evitando di sottoporre i dipendenti e le dipendenti a carichi di lavoro eccessivi e creando contesti meno competitivi. “Sarebbe importante, innanzitutto, cercare di adottare delle misure che proteggano l’equilibrio tra lavoro e vita privata e che rispettino il diritto alla disconnessione delle persone in lavoro agile”, riflette Balducci. “Le persone tendenti al workaholism rischiano di lavorare 24 ore al giorno, tutti i giorni; tuttavia, se l’azienda riesce a disincentivare tale dinamica, evitando che quest’abitudine venga considerata socialmente desiderabile, può contribuire a limitare i casi di dipendenza dal lavoro”.

Per questo motivo, come sottolinea Balducci, è necessario continuare ad approfondire con metodo scientifico il fenomeno del workaholism e le sue caratteristiche sia per migliorare le attuali conoscenze sull’argomento, sia per promuovere lo sviluppo di una mentalità collettiva e aziendale che riconosca il valore del recupero post-lavorativo e l’importanza della conciliazione tra lavoro e vita privata.

Fonte : Wired