“Non ci fermiamo, continuiamo a combattere e intensificheremo i combattimenti nei prossimi giorni.
Sarà una battaglia lunga e non è vicina alla fine. Abbiamo bisogno di pazienza, unità e di attenerci alla nostra missione”. Benjamin Netanyahu, ancora una volta, allontana la speranza della fine della tregua nella Striscia di Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il premier israeliano è intervenuto in una seduta alla Knesset (il parlamento israeliano), riferendo di aver incontrato una brigata di riservisti a Gaza. “Tutti mi hanno chiesto solo una cosa: di non fermarci e continuare fino alla fine (di Hamas)”, ha affermato.
Il violento attacco nel campo profughi di Al-Maghazi
Le operazioni in campo, infatti, confermano le intenzioni del leader israeliano. Il bombardamento israeliano alla vigilia di Natale nei campi profughi palestinese di Al-Maghazi e al-Bureij è stato tra i più cruenti dell’invasione israeliana della Striscia di Gaza in risposta all’attentato terroristico di Hamas. Fonti mediche palestinesi hanno riferito che il bilancio del raid aereo israeliano sui campi profughi nella zona centrale di Gaza è di 106 morti. È l’attacco aereo più letale dall’inizio dell’operazione di terra nell’enclave.
Il portavoce del ministero, Ashraf al-Qudra, ha spiegato che il raid ha distrutto un “isolato residenziale” e che il “bilancio probabilmente aumenterà” dato il gran numero di famiglie che risiedono lì. In un altro episodio, il ministero ha detto che 10 membri di una famiglia sono stati uccisi in un raid nel campo di Jabalia. Si scava anche a mani nude tra le macerie nel campo profughi di Maghazi, che secondo Hamas è stato colpito ieri da un raid israeliano che ha causato almeno 70 morti. Il bilancio totale nella Striscia sale così a 20.674 vittime.
Ma Tel Aviv canta vittoria. “Nel nord della Striscia più o meno abbiamo conseguito una affermazione militare. Nel sud si trovano molte forze dell’esercito. Adesso possiamo dire dunque che Zahal (acronimo delle forze armate, ndr) si trova in tutta la Striscia”, ha dichiarato nella giornata di oggi 25 dicembre un membro del gabinetto di guerra israeliano, il leader del partito ortodosso ‘Shas’ Arie Deri.
Gli sforzi diplomatici sembrano fallimentari. Gli Stati Uniti sembra stiano incontrando difficoltà a rilanciare e rinvigorire l’Autorità Palestinese in vista di un suo possibile ruolo nel dopo guerra a Gaza. Nelle ultime settimane – riporta il quotidiano statunitense Washington Post – i funzionari americani sono entrati e usciti da Mukataa, il compound del presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen, e chiesto cambiamenti e volti nuovi per l’Anp guardando alla possibilità di un suo ruolo più ampio a Gaza, una volta che la guerra sarà terminata. L’amministrazione Biden ha parlato di un “nuovo governo e sangue fresco accanto e sotto la guida di Abu Mazen”, riferiscono fonti della Casa Bianca al quotidiano.
I palestinesi hanno sottolineato che tale sforzo dovrebbe rientrare in un chiaro “orizzonte politico” per la creazione di uno stato palestinese e sono apparsi scettici sulla capacità degli Stati Uniti di ottenere qualcosa mentre in Israele è alla guida un governo di estrema destra. Lo stallo degli sforzi americani per sbloccare 140 milioni di dollari di tasse palestinesi per Gaza non contribuisce ad aumentare la fiducia.
Cosa prevede il piano di pace egiziano
Anche le proposte di un piano che prevede un cessate il fuoco svaniscono di fronte l’incapacità di dialogo tra i due attori politici della Striscia, Hamas e Jihad islamica. I due gruppi terroristici hanno respinto la proposta egiziana di sostituire il loro governo a Gaza in cambio di un cessate il fuoco permanente. Il piano egiziano, presentato ieri e sostenuto dal Qatar, prevede un nuovo scambio di prigionieri, seguito da un cessate il fuoco permanente e dalla futura costituzione a Gaza di un governo di tecnocrati. Nel dettaglio, il piano per un cessate il fuoco prevedeva tre fasi. Secondo il media saudita Asharq, “la prima fase prevede l’avvio di una tregua umanitaria della durata di due settimane, prorogabile per due o tre settimane, durante le quali Hamas dovrebbe liberare 40 detenuti israeliani, donne e bambini (sotto i 18 anni) e maschi anziani, soprattutto malati”. In cambio di questo, Israele dovrebbe “rilasciare 120 prigionieri palestinesi delle stesse due categorie”.
Durante la seconda fase bisognerà “stabilire un dialogo nazionale palestinese sotto il patrocinio egiziano con l’obiettivo di ‘porre fine alle divisioni’ e formare un governo di tecnici indipendenti che supervisionerà le questioni relative agli aiuti umanitari, il dossier per la ricostruzione della Striscia di Gaza e aprirà la strada alle elezioni generali e presidenziali palestinesi”. Infine, secondo le fonti di Asharq, si arriverà a “un cessate il fuoco totale” e a “un accordo globale sullo scambio di prigionieri” che dovrebbe includere anche i prigionieri palestinesi “con condanne elevate e coloro che sono stati arrestati da Israele dopo il 7 ottobre”. La fase finale dovrebbe prevedere “il ritiro israeliano dalle città della Striscia di Gaza e la possibilità per gli sfollati di ritornare anche nelle loro aree della Striscia settentrionale”. Il piano egiziano oggi dovrebbe essere esaminato anche dal gabinetto di guerra egiziano.
Fonte : Today