La Messa mattutina nella parrocchia della Sacra Famiglia in mezzo alla guerra che continua da 80 giorni. L’omelia del card. Pizzaballa nella notte a Betlemme: “Non sembra esserci posto per i palestinesi non solo fisicamente, ma nemmeno nella mente di coloro che decidono le sorti dei popoli”. Alla Chiese di tutto il mondo: “Chiedete ai vostri governanti di adoperarsi per la cessazione delle ostilità”.
Betlemme (AsiaNews) – L’hanno deposto nella mangiatoia anche a Gaza. Anche nel luogo dove letteralmente – come nella notte di Betlemme raccontata dai Vangeli – anche oggi non c’è più un posto sicuro per Maria e Giuseppe. È iniziato questa mattina con la celebrazione dell’Eucaristia nella parrocchia della Sacra Famiglia il Natale della piccola comunità cattolica, che vive come gli altri 2 milioni di abitanti della Striscia le sofferenze della guerra che si trascina ormai da 80 giorni. P. Iusuf Asad – da più di due mesi, ormai, l’unico prete cattolico a Gaza – ha presieduto il rito accompagnato dai ministranti con le loro vesti rosse, le candele, l’incenso, davanti a una comunità che anche in questo giorno in cui si continua comunque a combattere a Gaza, lancia il suo messaggio di pace dal cuore del conflitto.
“Non vi abbandoniamo”, aveva detto questa notte rivolgendosi direttamente a loro durante la Messa solenne nella chiesa di Santa Caterina a Betlemme il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme. “Siete nel nostro cuore e tutta la comunità cristiana di Terra Santa e nel mondo si stringe intorno a voi: che sentiate per quanto possibile il calore della nostra vicinanza e del nostro affetto”.
Nella città della Natività resa tristemente vuota di pellegrini dalla guerra, il patriarca ha presieduto il tradizionale rito della Mezzanotte con accanto il card. Konrad Krajewski, l’elemosiniere di papa Francesco, inviato in Terra Santa per rendere visibile la vicinanza del pontefice. Ma è un Natale in cui appare terribilmente attuale l’annotazione dell’evangelista Luca “non c’era posto per loro” (Lc 2,7). Ed è proprio intorno a questa frase che il card. Pizzazalla ha concentrato la sua omelia. “Come per Maria e Giuseppe – ha commentato – anche per noi, oggi qui, sembra che non ci sia posto per il Natale. Siamo tutti presi, da troppi giorni, dalla dolorosa, triste sensazione che non ci sia posto, quest’anno, per quella gioia e quella pace che in questa notte santa, proprio a pochi metri da qui, gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme”.
“Il mio pensiero va a tutti, senza distinzione, palestinesi e israeliani – ha proseguito – a tutti quelli colpiti da questa guerra, a quanti sono nel lutto e nel pianto e attendono un segno di vicinanza e di calore. Il mio pensiero, in particolare, va a Gaza e ai suoi 2 milioni di abitanti. Davvero quel ‘non c’era posto per loro’ esprime bene la loro situazione, oggi nota a tutti e la cui sofferenza non cessa di gridare al mondo intero. Nessuno più ha un posto sicuro, una casa, un tetto, privati dei beni essenziali di vita, affamati, e più ancora esposti ad una violenza incomprensibile. Non sembra esserci posto per loro non solo fisicamente, ma nemmeno nella mente di coloro che decidono le sorti dei popoli. È la situazione in cui da troppo tempo vive il popolo palestinese, che pur vivendo nella propria terra, si sente dire continuamente: ‘non c’è posto per loro’, e attende da decenni che la comunità internazionale trovi soluzioni per porre fine all’occupazione, sotto la quale è costretta a vivere, e alle sue conseguenze”.
Ma anche nel cuore di ciascuno oggi in Terra Santa sembra non esserci posto per il Natale. “Mi sembra che ciascuno sia chiuso nel suo dolore – ha continuato il patriarca -. Odio, rancore e spirito di vendetta occupano tutto lo spazio del cuore, e non lasciano posto alla presenza dell’altro. Eppure, l’altro ci è necessario. Perché il Natale è proprio questo, è Dio che si fa umanamente presente, e che apre il nostro cuore ad un nuovo modo di guardare il mondo”.
Dove trovare allora un posto per far nascere Gesù anche qui, anche quest’anno? “Dio trova sempre un posto per il Suo Natale – ha risposto il card. Pizzaballa – anche in queste drammatiche circostanze, noi lo crediamo: Dio può fare posto anche nel più duro dei cuori”. Innanzitutto perché il Natale avviene in Dio stesso, nel cuore misericordioso del Padre e dunque è a Lui che ci chiama a tornare. “Prima e oltre ogni spiegazione sociale e politica, la violenza e la sopraffazione dell’altro trovano la loro ultima radice nell’aver dimenticato Dio, contraffatto il Suo Volto, usato in modo strumentale e falso il rapporto religioso con Lui, come in questa nostra Terra Santa avviene troppo spesso”.
Ma luogo del Natale è anche il “sì” concreto pronunciato da Maria e Giuseppe. “Dovunque qualcuno è disponibile a mettere la propria vita a servizio della Pace che viene dall’Alto e non soltanto a badare ai propri interessi – ha spiegato il patriarca di Gerusalemme – lì nasce e rinasce il Figlio. Dobbiamo tutti impegnarci, a partire da me e da chi, come me, ha responsabilità di guida e di orientamento sociale, politico e religioso, a creare una “mentalità del sì” contro la “strategia del no”. Dire sì al bene, sì alla pace, sì al dialogo, sì all’altro non deve essere solo retorica ma impegno responsabile, disposto a fare spazio, non a occuparlo, a trovare un posto per l’altro e non a negarlo”.
Alla sua Chiesa il card. Pizzaballa in questa notte di Natale ha chiesto di riscoprirsi eredi dei pastori: “So bene quanto è difficile restare svegli – ha commentato -, disponibili all’accoglienza e al perdono, pronti a ricominciare sempre di nuovo, a rimettersi in cammino anche se è ancora notte. Solo così però noi troveremo il Bambino”. Alla Chiese di tutto il mondo che oggi guardano a Betlemme l’invito è invece “a farsi fatevi latori presso i propri popoli e governanti del ‘si’ a Dio, del desiderio di bene per questi nostri popoli, per la cessazione delle ostilità, perché tutti possano ritrovare davvero casa e pace”.
“Prego che Cristo rinasca nel cuore dei governanti e dei responsabili delle nazioni – ha concluso – perché si adoperino sul serio per fermare questa guerra, ma soprattutto perché riprendano le fila di un dialogo che porti finalmente a trovare soluzioni giuste, dignitose e definitive per i nostri popoli. Le parole come occupazione e sicurezza e le tante altre parole simili che da troppo tempo dominano i nostri rispettivi discorsi, devono essere rafforzate da fiducia e rispetto, perché questo è ciò che vogliamo che sia il futuro per questa terra e solo questo garantirà stabilità e pace vere”.
Fonte : Asia