Dopo il Canada, anche gli Stati Uniti hanno rivelato di avere informazioni secondo cui funzionari e cittadini indiani sono coinvolti nel programmare l’assassinio di attivisti che si battono per la creazione del Khalistan, uno Stato indipendente per i sikh. Modi in questi giorni ha replicato utilizzando toni più cauti, ma sottolineando anche la crescente radicalizzazione della diaspora sikh. La figura chiave di Gurpatwant Singh Pannun.
Milano (AsiaNews) – Il mese scorso gli Stati Uniti hanno accusato l’India di aver elaborato un piano per assassinare in suolo americano un attivista separatista che si batte per la secessione della regione del Punjab e la creazione del Khalistan, uno Stato a maggioranza sikh. Questa settimana, per la prima volta, il primo ministro indiano Narendra Modi ha commentato la vicenda al Financial Times, dicendo che l’India indagherà su qualsiasi prova che verrà fornita dagli altri Paesi: “Se ci verranno fornite informazioni le esamineremo sicuramente”, ha affermato. “Se un nostro cittadino ha fatto qualcosa, che sia giusta o sbagliata, siamo pronti a indagare. Il nostro impegno è per lo Stato di diritto”, ha proseguito il premier indiano, aggiungendo che questo tipo di questioni non andranno a minare i rapporti diplomatici tra Delhi e Washington. Tuttavia, Modi ha contestato il diritto alla libertà di parola sostenuto dagli Stati Uniti, spiegando che l’India è “profondamente preoccupata per le attività di alcuni gruppi estremisti con sede all’estero” e “questi elementi, con il pretesto della libertà di espressione, si sono impegnati in intimidazioni e incitamento alla violenza”.
Affermazioni molto più caute e bilanciate rispetto a quelle di qualche mese fa, quando il primo ministro canadese, Justin Trudeau, aveva accusato Delhi di essere responsabile dell’uccisione di Hardeep Singh Nijjar, un altro separatista sikh con cittadinanza canadese trovato morto a giugno. In quell’occasione i funzionari di Delhi avevano rigettato le accuse definendole “assurde”.
Il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha spiegato che un cittadino indiano, Nikhil Gupta, avrebbe assunto un sicario per 100mila dollari per uccidere Gurpatwant Singh Pannun, avvocato e portavoce dell’organizzazione Sikhs for Justice (SFJ), un gruppo separatista nato nel 2007 e che l’India ha bandito dal proprio territorio nel 2019. Nikhil Gupta, 52 anni, al momento è detenuto in un carcere di Praga, in Repubblica ceca. Gli Stati Uniti ritengono che sia stato reclutato da un funzionario indiano non solo per eliminare Pannun, ma anche per uccidere un’altra persona in California e almeno altre tre in Canada come parte di una cospirazione più ampia. Per queste ragioni Washington ha presentato una richiesta di estradizione alle autorità ceche e la Corte suprema indiana, a cui si sono rivolti i familiari di Gupta per chiederne la scarcerazione, ha dichiarato di non avere giurisdizione sulla questione. Ieri il ministero degli Affari esteri indiano ha però reso noto di aver avuto accesso consolare a Gupta in almeno tre occasioni.
Nel frattempo Delhi non ha mai nascosto il proprio astio nei confronti di Pannun. Dopo le accuse da parte degli Stati Uniti, Delhi ha spiegato che Pannun “è ricercato per violazione della legge”. “È stata formata una commissione d’inchiesta ad alto livello per indagare sulle accuse e affrontare le preoccupazioni del governo americano in materia di sicurezza”, ha detto il portavoce del ministero degli Affari esteri, Arindam Bagchi. Pannun è accusato di terrorismo e sedizione e a settembre le sue proprietà nelle città di Amritsar e Chandigarh, nel Punjab, sono state sequestrate.
Pannun si è unito al movimento per la richiesta di un Khalistan indipendente agli inizi degli anni ‘90, quando era ancora uno studente universitario. In seguito si è trasferito negli Stati Uniti, dove, dopo un master in management, ha lavorato come analista aziendale a Wall Street. Entrato a far parte di Sikhs for Justice, ha cominciato a denunciare il sostegno di politici e celebrità indiane che andavano in visita negli Stati Uniti contro l’attivismo sikh, chiedendo l’applicazione di una legge americana del 1789 che consente ai tribunali americani di giudicare casi relativi ad abusi dei diritti umani commessi in altre parti del mondo da cittadini non statunitensi.
Negli ultimi anni la diaspora sikh, che si concentra negli Stati Uniti e in Canada, ha inoltre organizzato diversi referendum (con nessun valore giuridico) per la creazione del Khalistan indipendente, attività che Delhi ha sempre osteggiato. “Il governo indiano e il regime di Modi vogliono uccidermi, vogliono eliminarmi per aver condotto la campagna elettorale a favore di un referendum per il Khalistan”, ha detto Pannun alla rivista Time in una recente intervista. Non è la prima volta che il separatista sikh usa toni molto duri contro il governo indiano. Nei video pubblicati sul web da SFJ si vede Pannun offrire ricompense a coloro che scrivono graffiti anti-indiani, issano bandiere khalistani sugli edifici governativi o dissacrano la bandiera dell’India. In altri post ha minacciato di “scuotere le fondamenta stesse del parlamento indiano”, ma si è anche rivolto direttamente al primo ministro Modi e al ministro dell’Interno Amit Shah chiedendo la morte. In altri filmati ha chiesto agli indù emigrati in Canada di “tornare in India”, oppure, ancora, ha promesso di “vendicare la morte di Hardeep Singh Nijjar”.
“Attraverso i suoi video sui social media, Pannun tenta di instillare la paura nelle menti dei nostri cittadini”, ha detto alla BBC un funzionario dell’intelligence indiana in pensione. “Ma è intelligente, è un avvocato e sceglie attentamente le sue parole per evitare di infrangere la legge”. Fino a qualche anno fa, ha proseguito la fonte, Pannun era considerato “di disturbo”, mentre “ora viene preso più sul serio”.
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Fonte : Asia