Con un blitz prima della chiusura natalizia, Lega e Fratelli d’Italia, con l’aiuto esterno del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, hanno votato contro la ratifica del Mes, impedendo di fatto, agli altri 19 Stati membri dell’Unione Europea, di poter fruire delle nuove regole del Fondo che ha la finzione di prestare assistenza ai Paesi dell’eurozona che si trovano in difficoltà finanziaria.
Le conseguenze del ‘no’ al Mes
Come spiega oggi su La Stampa l’economista Tito Boeri, la scelta di non ratificare il Meccanismo europeo di stabilità è “incomprensibile e sconsiderata”. Parole condivisibili, quelle dell’ex presidente dell’Inps, principalmente per due motivi: innanzitutto, quello che si è votato nell’aula di Montecitorio non è l’accesso al Fondo, ma, appunto, la ratifica di nuove regole; regole che per un Paese come l’Italia – che ha un debito pubblico enorme rispetto ad altri Stati – sarebbero state molto più convenienti di quelle attuali, che in virtù della bocciatura di ieri restano invariate.
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In parole povere, se le banche italiane dovessero attraversare momenti di crisi, l’accesso al Fondo sarà meno vantaggioso. Un altro problema collaterale riguarda i mercati finanziari: il “combinato disposto” tra bocciatura della ratifica del Mes e l’accordo franco-tedesco sulle nuove regole del patto di stabilità – che di fatto hanno visto un ministro Giorgetti costretto a ratificare scelte avvenute altrove – posizionano l’Italia ai margini dell’Europa che conta.
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Tra le due questioni, conti alla mano, quella che danneggia l’Italia è proprio la seconda, perché – come ha spiegato ieri su queste pagine il responsabile economico del Partito Democratico, Antonio Misiani – le prossime manovre economiche non consentiranno indebitamento e verosimilmente conterranno tagli e soprattutto nuove tasse. Un enorme passo indietro rispetto all’era Draghi, che renderà il Pese meno appetibile per gli investitori, danneggiando nel medio e lungo termine l’economia.
Una scelta politica
E allora perché questa scelta? Il Mes, in tutte le sue declinazioni, altro non è che una bandiera elettorale utilizzata dai partiti populisti per segnare il territorio dell’antieuropeismo strisciante dei loro elettorati. Se anche si fosse votato l’acquisto delle nuove tende per gli uffici lussemburghesi dell’organizzazione intergovernativa, probabilmente la Lega di Matteo Salvini, il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte e il partito della premier Giorgia Meloni avrebbero bocciato la proposta.
Le tre lettere, di cui pochi in realtà conoscono il significato, come tutte le questioni che richiedono un ragionamento minimamente articolato si prestano a fake news e a interpretazioni bislacche. È stato fatto credere, per anni, che Mes volesse dire indebitamento dell’Italia e “perdita di sovranità” rispetto alla terribile Europa, agitando il fantasma della Grecia. In realtà, se parliamo di “perdita di sovranità”, l’accordo che il governo ha accettato a capo chino all’Ecofin sul nuovo patto di stabilità è decisamente più problematico del temutissimo Mes: dietro il termine “valutazione di sostenibilità”, cardine del nuovo regolamento (non a caso fortemente voluto dalla Germania) è una sorta di commissariamento di fatto ai ministeri dell’Economia degli Stati membri.
È stato detto che il Mes farà pagare ai cittadini italiani la crisi delle banche tedesche. Anche qui, l’interpretazione è decisamente fuorviante. Sarebbe come dire che i contribuenti tedeschi stanno pagando un osservatorio economico, finanziato con i fondi del Pnrr, a Castelpizzuto, in provincia di Isernia. In quota parte è senz’altro vero, ma se dovessimo obiettare in questo modo su ogni fondo comunitario tutto diventerebbe opinabile. E non è un caso che i partiti dell’estrema destra tedesca, che si oppongono al Mes con argomentazioni simili a quelli dei nostri sovranisti, sostengono che il Fondo farebbe gravare sui contribuenti tedeschi un’eventuale crisi delle banche italiane.
La corsa alle europee
Verosimilmente, si tornerà a parlare di Mes dopo le vacanze natalizie, principalmente per due motivi. Il primo è che i principali partiti che sulla guerra al Fondo basano parte della loro propaganda in questo momento sono impegnati con la difesa del presepe e delle italiche tradizioni del Santo Natale. La seconda è che il veto italiano sul Mes sarà la piccola dote che potranno portare ai loro elettori nella corsa alle prossime elezioni europee; una corsa che – ricordiamo – in virtù di una legge elettorale proporzionale vede “tutti contro tutti” e genera una concorrenza trasversale agli schieramenti.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni dovranno far dimenticare due manovre finanziarie non certo indimenticabili, le accise sui carburanti che godono di ottima salute e soprattutto l’aumento esponenziale degli sbarchi dei migranti. Le conseguenze negative di quanto scritto in precedenza, infatti, non si paleseranno prima della prossima legge di Bilancio, che però verrà scritta mesi dopo il voto per il rinnovo dell’Europarlamento. Questo consentirà ai due partiti di intestarsi la “vittoria” contro “l’Europa dei banchieri e dei burocrati”. E visto il livello di conoscenza della materia economica di larga parte dell’elettorato, la strategia potrebbe rivelarsi vincente. A far gola ci sono i voti di Forza Italia, unica forza della maggioranza a non aver votato contro il Fondo rifugiandosi in un’omertosa astensione.
Il Mes e le opposizioni
La partita delle europee 2024 coinvolge ovviamente anche il campo delle opposizioni. L’intervento “meloniano” del leader del Movimento 5 Stelle nell’aula di Montecitorio apre di fatto le danze della sfida tra i principali partiti dell’attuale minoranza.
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Anche il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario al Mes, potrà andare dai suoi elettori a reclamare un po’ di sana coerenza antieuropeista, che non guasta mai. Il sogno dell’ex premier è un sorpasso, magari al fotofinish, sul Partito Democratico di Elly Schlein. La distanza al momento non è siderale e una campagna elettorale aggressiva e velatamente “sovranista” potrebbe riavvicinare il partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio alla soglia psicologica del 20 per cento.
Dal canto suo, il Pd cercherà di intestarsi il più possibile la bandiera dell’europeismo, che resta un fattore rassicurante per l’elettorato più colto che tende a scegliere – trasversalmente agli schieramenti – partiti che garantiscono stabilità e non promettono scontri masochisti con le cancellerie degli altri Paesi. Il bacino a cui si cercherà di attingere, anche in questo caso, sono i voti di Forza Italia: in questa corsa all’elettorato moderato il partito del Nazareno, che con l’elezione di Schlein si è posizionato decisamente più a sinistra, potrebbe raccogliere meno dei “piccoli” Azione, Italia Viva e Più Europa, che verosimilmente si presenteranno come i veri paladini dell’europeismo e soprattutto come gli unici “argini” al dilagare dei sovranisti. Per loro la sfida è la fatidica soglia del 4 per cento, fondamentale per esistere.
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Fonte : Today