“Con Franz portiamo Milano nei nostri sketch, ma ora sta diventando una città per ricchi”: parla Ale

“Credo che certe cose a Milano stiano andando verso un’esasperazione che scontenta parecchia gente”: l’intervista di Fanpage.it a Alessandro Besentini, Ale di Ale e Franz, in scena dal 21 dicembre al teatro Gaber.

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Alessandro Besentini, alias Ale

“Siamo di Milano e per due settimane giochiamo in casa, siamo il Babbo Natale del teatro Lirico”, parola di Alessandro Besentini, l’Ale del duo Ale e Franz che dal 21 dicembre al 7 gennaio va in scena al Teatro Lirico Giorgio Gaber con NatAle&Franz show. Il comico ha raccontato a Fanpage.it come questo spettacolo riesce a rappresentare il milanese di oggi in modo “un po’ estremizzato”, in una città “che sta andando verso un’esasperazione che sta scontentando molti”, ma lasciando satira e politica “a chi è più portato a fare polemica”.

Come duo avete più volte ribadito l’intenzione di non affrontare temi come la politica e tantomeno cimentarvi nella satira. Qual è il motivo dietro questa scelta?

Quella di non trattare la politica è stata una decisione che abbiamo preso insieme io e Francesco anni fa. La lasciamo a chi è più bravo a parlarne ed è più portato a fare polemica. Anche se, quando si invecchia, si diventa un po’ più brontoloni. Quindi in futuro chissà, mai dire mai.

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Cosa si prova a fare teatro nella città in cui si è cresciuti?

Sia Franz che io siamo di Milano, quindi quando andiamo in scena qui ci possiamo permettere di parlare della nostra città. Diciamo che giochiamo in casa. Anche perché quando lavori nel teatro la maggior parte delle persone che vengono a trovarti abitano in quelle zone. Nei nostri sketch cerchiamo di portare Milano con noi, magari estremizzando alcune figure diventate iconiche. Per esempio, quest’anno ce n’è uno che ironizza sull’uomo che va in giro con il cagnolino.

C’è un teatro milanese a cui è particolarmente legato?

Lo Zelig di viale Monza e il Gaber sono sicuramente nella lista. Poi, però, scende sempre una lacrima quando pensiamo al Ciak di via Procaccini. È un peccato quando vengono chiusi teatri così importanti, così belli, storici, che hanno dato tanto alla città e al Paese. Sono realtà che hanno fatto crescere tantissime persone e artisti.

I teatri fanno fatica a resistere. Da sempre combattono contro i soldi e infatti dovrebbero essere supportati in modo migliore perché altrimenti rischiano di fare la fine del Ciak. Comunque è bello anche quando un teatro riapre, un po’ come ha fatto il Gaber tre anni fa.

A proposito di Gaber, chi indicherebbe come suoi maestri?

Sicuramente Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, perché quando una persona riesce ad appassionarti a un lavoro come hanno fatto questi grandi artisti, diventa per forza una fonte di ispirazione. Ma ci metto anche Paolo Rossi, anche se fa parte della generazione successiva.

Quando sogni di fare questo mestiere grazie a persone come loro è ovvio che te le porti nel cuore e li consideri i tuoi maestri. Poi cresci sul loro stesso territorio e, quindi, inconsciamente prendi tutto ciò che hanno preso anche loro da questa città e dalla gente che abbiamo attorno. Se dovessi indicare altre figure rappresentative come loro nei giorni nostri, non ci riuscirei. O almeno, io non ne conosco ancora.

Le sta piacendo la direzione intrapresa da Milano?

Milano io la vivo sin da quando sono ragazzo, perché ho sempre lavorato qui. È normale che tutto cambia, ma credo che certe cose a Milano stiano andando verso un’esasperazione che forse sta scontentando parecchia gente. Sta diventando una città solo per benestanti, una volta era più inclusiva. Sono state fatte scelte che magari non prestano la giusta attenzione a tutti gli abitanti, a ogni classe sociale.

Forse Milano dovrebbe fare un piccolo passo indietro che le permetta di includere più gente, tornare a essere quella città col cuore in mano che è sempre stata. E parlo sia del costo degli immobili, degli affitti, che della lotta all’inquinamento che non credo debba partire dalle piste ciclabili. Il problema penso sia più a monte, non è come si sposta il cittadino comune. Però vabbè, insomma, siamo qui per parlare di arte.

Uscendo dai teatri, la musica trap può essere uno strumento efficace per raccontare l’evoluzione della città?

L’arte quando nasce da un’urgenza di dover comunicare qualcosa è sempre giusta, quando è propositiva la considero sempre una cosa positiva. È vero che loro si rivolgono a un pubblico che non ha la mia età, quindi faccio un po’ di fatica a inquadrarli. Da fuori mi sembra un po’ dispersivo quello che fanno, mi piacerebbe che definissero meglio quello che vogliono dire, mi sembra che si vaghi ancora un po’ a macchia di leopardo. Non sento questa cosa in modo così incisivo come potrebbe essere.

Però ripeto, loro si rivolgono ai molto giovani quindi magari parlando con i miei figli che sono ventenni potrei capire cosa arriva a loro. È una cosa a cui sto sinceramente pensando in questo periodo, perché sento questo grosso fermento musicale che quando sei giovane piace parecchio. Quindi sarebbe meglio se si ponessero un obiettivo più specifico, ma magari sono io che non capisco il loro messaggio.

Concluderei chiedendole di una forma di arte che potrebbe presto abbandonare la città. Sto parlando ovviamente di calcio e dell’Inter, che tra qualche anno potrebbe non giocare più a San Siro.

Ecco, questa è una cosa che mi fa veramente male. Quando si parla del ‘Meazza’ mi viene addosso un’angoscia… Perché è da quando sono un bambino che vado a vedere l’Inter, quindi questa cosa di lasciare San Siro un po’ mi fa star male. Se potessi votare direi no, non chiudiamo il ‘Meazza’. Milano è una città che ha architetti che sono tra i più grandi al mondo. Secondo me è impossibile pensare che non si possa sistemare uno stadio con le risorse che ci sono in questa grande città.

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Fonte : Fanpage