Nel suo recente libro Licenziate i padroni – Come i capi hanno rovinato il lavoro, (Rizzoli, 2023) Marco Bentivogli sferra un attacco alla classe dirigente italiana, colpevolizzandola per la crisi del mercato del lavoro nel nostro paese. Bentivogli, ex segretario dei metalmeccanici della Cisl, critica la persistenza della “mediocrazia” al potere, la resistenza alle nuove strutture organizzative, e gli effetti del digitale e dei social sul mondo del lavoro. Ma non bisogna avere paura della tecnologia, ci ricorda il sindacalista, anzi, l’arrivo di nuovi strumenti come l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione ha affrancato il lavoro da molte mansione ripetitive rendendo il contributo della mente umana più importante e le mansioni più flessibili. Rimane il fatto, però, che l’AI e la tecnologia in generale nei prossimi anni, “spingerà la polarizzazione del lavoro tra le persone che la utilizzeranno e chi, per scelta o condizione, ne sarà escluso”, contribuendo a generare nette disuguaglianze.
L’AI, per esempio, sta trasformando le mansioni lavorative, generando una crescente domanda di competenze specifiche in tutti i settori, con lavori correlati che offrono salari più alti. Tuttavia i reali guadagni nella produttività, ricorda Bentivogli, saranno possibili solo con manager e “architetti del nuovo lavoro” capaci di utilizzare la tecnologia per creare valore attorno alla persona e non per sostituirla. Tantomeno è auspicabile un atteggiamento tecnofobico – qualcosa che già attecchisce in Italia – anche perché “nel nostro Paese c’è sempre un approccio reazionario al cambiamento”, ricorda l’autore. Questo significa che il successo delle aziende dipenderà dalle competenze tecnologiche, dalle nuove idee e soprattutto dall’impegno e dalla passione dei “padroni” nel fare bene il loro lavoro.
Lo smart working
Uno dei discorsi più interessanti che fa Bentivogli riguardo al rapporto tra le aziende e l’innovazione è quello sui nuovi spazi di lavoro. Per esempio la questione dello smart working, rappresenta un’opzione sempre più allettante per i lavoratori, poiché consente loro di lavorare da remoto in modo flessibile, aumentando la loro libertà e autonomia di scelta. Il problema, soprattutto in Italia è che, nella fase successiva al Covid-19, “in epoca di polarizzazione e di pensiero binario”, l’approccio a questo tema ha avuto due schieramenti contrapposti: tutti e sempre in presenza, oppure tutti in smart working, sempre. “In generale, i due approcci sono entrambi sbagliati”, dice l’autore.
L’implementazione del lavoro smart richiede anche una nuova cultura e nuovi tipi di contratti. “Non si tratta di replicare il lavoro in presenza, ma di cambiare il modo in cui si pensa al lavoro stesso”, sostiene il sindacalista. Per questo motivo, molti sostengono che si debba passare da una cultura del controllo a una visione basata su obiettivi condivisi.
Fonte : Wired