Patto di stabilità: le regole cambiano, ma l’austerità resta

I ministri dei 27 Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto un difficilissimo accordo sulle nuove regole di bilancio del blocco. La riforma del Patto di Stabilità e crescita era richiesta da tempo e Paesi come l’Italia spingevano perché significasse un definitivo abbandono delle regole di austerità. Ma la resistenza delle nazioni cosiddette frugali ha vanificato questa speranza, e il nuovo Patto non segna affatto un taglio con il passato, ma solo regole più flessibili (e allo stesso tempo più complesse).

I tetti restano gli stessi

La base del tutto resta sempre la stessa, quella sancita dal Trattato di Maastricht con le soglie massima del 3% per il rapporto tra deficit e Pil, e del 60% per il debito pubblico. Sono ancora quelle le stelle polari, i tetti massimi che vengono dati ai Ventisette. Gli Stati non in linea con questi parametri dovranno mettersi in regola con piani di rientro concordati con la Commissione europea che dureranno dai quattro ai sette anni. Sulla base dell’esperienza dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (gli ormai famosi Pnrr), i governo dovranno ora presentare non piani annuali, ma piani fiscali quadriennali, con la possibilità di estendere il periodo di aggiustamento fiscale a sette anni per consentire l’attuazione di investimenti e riforme strategiche. Bruxelles controllerà poi ogni anno che il percorso stabilito venga rispettato, e chiederà (o concorderà) aggiustamenti se necessario.

Parola d’ordine: ridurre debito e deficit

Il testo chiede la riduzione media annua del rapporto tra il debito e il Pil di 1 punto percentuale per i Paesi con debito superiore al 90%. Tra questi c’è l’Italia, il cui debito monstre è al 134% del Pil, secondo in Europa solo a quello della Grecia che è al 162%. Per i Paesi più virtuosi, con debito tra il 60% e il 90% (come la Germania), verrà chiesto un aggiustamento annuo della metà di quello richiesto all’Italia, cioè dello 0,5%. Anche il deficit dovrà essere ridotto a ritmo costante, e anche gli Stati meno ‘spendaccioni’, cioè quelli che non sforano la fatidica soglia del 3%, saranno tenuti a ridurre il disavanzo. Per farlo dovranno mantenere un ‘cuscinetto’ per il deficit per evitare che, in caso di crisi, sforino appunto il famoso 3%. Questo significa che di fatto dovranno continuare a ridurre il deficit sempre di più.

Ma a differenza di prima, se l’obiettivo resta il bilancio (cioè spese ed entrate che si equivalgono, lo 0%), come obiettivo di medio termine ora si chiede di creare questo “margine di manovra” dell’1,5%, quindi si dovrà andare verso un deficit dell’1,5% rispetto al Prodotto interno lordo, per sostenere (leggermente) gli investimenti (prima si chiedeva di puntare allo 0,5%). Per garantire il raggiungimento della soglia cuscinetto l’aggiustamento annuale richiesto dovrebbe essere pari allo 0,4% del Pil (in caso di piani di rientro da quattro anni), che potrebbe essere ridotto allo 0,25% del Pil (nei piani di rientro da sette anni), se ci si impegna però a fare investimenti e riforme.

 Per l’Italia, come per gli altri Paesi che si troveranno sotto procedura per deficit eccessivo (quella di coloro che sforano il 3% e che devono ridurre obbligatoriamente dello 0,5% l’anno), significa che una volta usciti dalla procedura e scesi sotto il limite del rapporto deficit/Pil al 3% (che resta la bussola), la pista da seguire per raggiungere un’ulteriore riduzione della spesa sarà più lenta, più graduale. Ma comunque ci sarà. E questo se l’Italia non sarà impegnata ovviamente in un altro, e più importante, percorso di riduzione, tipo quello del debito, e quindi dovrà seguire regole differenti.

La ‘clausola transitoria’ 

Per moderare questo sforzo, almeno nel breve periodo, su spinta della Francia, e con il sostegno di Roma, è stata approvata una clausola transitoria per il periodo dal 2025 al 2027 che prevede di tenere in considerazione, nel calcolo del taglio di deficit, l’aumento degli interessi sul debito causati dalle manovre della Bce, manovre che hanno portato i tassi d’interesse a livelli record. Insomma visto che per ripagare i propri debiti gli stati dovranno pagare interessi superiori, si terrà conto di questi interessi e ci sarà una maggiore tolleranza. Non è uno scorporo pieno ma è qualcosa che ci va vicino. Questa tolleranza però dal 2028 sparirà.

La (finta) ‘golden rule’

Verranno poi tenuti in considerazione, nella valutazione dell’apertura di un’eventuale procedura per deficit eccessivo, gli investimenti fatti per la difesa. Questa non è esattamente la ‘golden rule’ richiesta dall’Italia, ma una versione annacquata di essa. Una ‘golden rule’ comporterebbe che alcuni investimenti non vengano proprio considerati nel conteggio del rapporto. Ad esempio se uno Stato spendesse in tutto 100 miliardi in un anno e 20 per la Difesa, il conteggio del rapporto deficit Pil si farebbe sulla cifra di 80 miliardi di spesa totale (sono numeri esemplificativi). Nel nuovo Patto invece le spese per la Difesa sono ritenute attenuanti a un eventuale sforamento, ma non sono scorporate del tutto. Ad esempio se si dovesse ridurre il debito del 2% in quattro anni, si dovrebbe farlo riducendolo dello 0,5% ogni anno. Ma se nei primi due anni si sforerà a causa si spese per la Difesa la Commissione chiuderà un occhio, però nei secondi due anni la riduzione del deficit dovrà recuperare la parte persa.

Il paradigma dell’austerità resta

Al di là di complicati numeri e cifre, alla base del nuovo Patto resta l’assunto del vecchio, cioè che per ridurre il Pil si deve ridurre il deficit, che è l’assioma dell’austerità voluto da sempre dai frugali, dai falchi. Ma negli anni delle politiche di austerità questo assioma è stato messo in discussione e criticato da chi sostiene che la riduzione del deficit a tappe forzate non determini necessariamente una riduzione del debito ma, al contrario, può incrementarlo. Questo perché tagliare il deficit significa ridurre gli investimenti pubblici che sono invece, in molti casi, fondamentali per spingere la crescita economica di una nazione, e quindi la crescita del suo Pil. Il rapporto tra deficit e Pil non si riduce insomma solo riducendo il deficit, ma anche aumentando il Pil. Anche facendo deficit.

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Fonte : Today