L’Unione europea “molto probabilmente” non riuscirà a raggiungere gran parte dei suoi obiettivi climatici entro il 2030. La doccia fredda arriva dall’Agenzia europea per l’ambiente, che ha appena pubblicato un dettagliato report che analizza molteplici elementi: dalle energie rinnovabili, alla riduzione delle emissioni di Co2, inclusa la riduzione della mole di imballaggi e rifiuti annessi. Rispetto alle elevate ambizioni con cui era iniziato il mandato sia del Parlamento europeo che della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, Bruxelles e i governi europei hanno arretrato su numerosi aspetti. Da un lato molte risorse che erano destinate a contrastare i cambiamenti climatici sono state invece riversate in altri settori, in particolare a causa della guerra in Ucraina e all’impegno per contrastare le migrazioni illegali, dall’altro commissari ed eurodeputati in quest’ultimo anno hanno deciso di cambiare rotta per ragioni puramente elettorali, sottraendosi agli impegni ambientali sottoscritti all’inizio della legislatura.
Obiettivi ambientali improbabili
L’Agenzia ambientale europea sostiene che l’Ue “molto probabilmente” non raggiungerà i suoi obiettivi di consumo di energia primaria, stessa sorte per le ambizioni relative alle rinnovabili. Gli autori hanno classificato i 28 indicatori inseriti nel report in base al livello di probabilità con cui potranno essere raggiunti entro il 2030, fissata come prima data utile per verificare cambi di rotta significativi. Il documento classifica ad esempio come “molto improbabile” la riduzione di emissioni di gas serra derivanti da un differente uso del suolo e dalla silvicoltura. L’Ue si era riproposta di aumentare l’assorbimento netto di queste emissioni grazie ai pozzi di assorbimento del carbonio del settore delle foreste, prevedendo fino a 310 milioni di tonnellate di Co2 equivalente in meno entro il 2030. Stessa valutazione pesantemente negativa riguarda l’obiettivo di ridurre entro il 2030 i livelli di consumo di energia primaria e finale. Secondo l’Agenzia per l’ambiente inoltre l’Ue non riuscirà a raddoppiare la percentuale di utilizzo di materiali circolari rispetto al 2020. Male anche il contributo dell’agricoltura, dato che viene ritenuto molto improbabile l’obiettivo di coltivare il 25% delle terre agricole con il metodo biologico, ritenuto nettamente più proficuo, sia per la salute dei terreni che per la qualità dei prodotti.
Scarsi impegni per proteggere la natura
Nella categorie degli “improbabili ma incerti” sono finiti invece numerosi obiettivi, come quelli che riguardavano una significativa riduzione delle materie prime utilizzate per realizzare prodotti consumati nell’Ue, oppure un deciso abbattimento dei rifiuti. Stessa sorte per tante ambizioni relative alla tutela e al ripristino della natura, come quelle che riguardano l’incremento delle aree marine e terrestri protette o la salvaguardia degli uccelli. Anche nel settore dei trasporti, risulta improbabile un aumento significativo dei mezzi pubblici, come bus e treni. Gli Stati membri non sono sulla strada giusta neppure per ridurre il fenomeno della scarsità d’acqua, su cui incidono temperature estreme e siccità, ma ben poco di concreto si è deciso per mutare direzione. Dal report emerge almeno un dato positivo: “probabilmente” gli Stati dell’Ue saranno in grado di ridurre le emissioni di gas serra del 55% nel 2030 rispetto al 1990.
Il contributo dell’Italia al fallimento del Green Deal
Alla base di quello che possiamo definire un vero e proprio “fallimento “del Green Deal c’è stato un mutamento nelle priorità dell’agenda europea. Innanzitutto è intervenuta all’inizio del 2022 la guerra della Russia in Ucraina, che ha drenato una larga parte delle risorse del vecchio continente, provocando effetti a catena. Ad esempio gli autori del report hanno rilevato un aumento dei sussidi ai combustibili fossili di quasi il 120% tra il 2021 e il 2022, in risposta agli alti prezzi dell’energia determinati dall’invasione russa dell’Ucraina. Il conflitto ha anche indotto a rinunciare, in nome di una maggiore produttività, ad alcuni importanti obiettivi del settore agricolo, come la riduzione di fertilizzanti e pesticidi.
In generale miliardi di euro sono stati dirottati verso i settori della difesa, della migrazione e della diversificazione energetica. Un contributo significativo a questa marcia indietro lo ha dato proprio l’Italia, sia con la pressione delle lobby agricole e dei produttori di plastica e carta sugli eurodeputati, sia con le posizioni assunte dai ministri dell’Agricoltura e dell’Ambiente del governo guidato da Giorgia Meloni. Insieme si sono messi di traverso rispetto ad alcune norme chiave, come la legge sul ripristino della natura, quella sugli imballaggi e il regolamento sulla riduzione dei pesticidi, miseramente arenato.
Ritorno al carbone
Parallelamente al rapporto dell’Agenzia ambientale, il 18 dicembre la Commissione europea ha avvisato i governi dell’Ue che i loro piani di decarbonizzazione non riusciranno a ridurre le emissioni in linea con gli obiettivi dell’Ue. “Nonostante una sostanziale riduzione negli ultimi anni, le emissioni di gas serra nette nel 2030 saranno inferiori del 51% rispetto al 1990, 4 punti percentuali in meno rispetto all’obiettivo del 55% fissato nella Legge sul clima”, si legge nella valutazione. Tra i “cattivi discepoli” individuati da Bruxelles figurano Paesi come Germania, Romania e Croazia, intenzionati ad utilizzare il carbone ben oltre il 2030.
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Fonte : Today