“Amo la Cina. A Pechino puoi lasciare tranquillamente il casco dello scooter sul manubrio, nessuno lo ruberà. Accade lo stesso in occidente?”, dice una ragazza occidentale in perfetto cinese in un video postato sui social network occidentali, quelli bloccati in Cina. E in un altro filmato, la content creator chiede a un venditore di caldarroste in una strada di Lhasa, in Tibet, quale sia la parola in lingua tibetana per dire castagne. “Non lo so”, risponde l’uomo che compare in un video dal titolo “Ecco il TIBET che NON vi fanno vedere”. L’autrice del filmato che mostra il “vero Tibet” è Rachele Longhi, una vlogger italiana che vanta milioni di follower su piattaforme di social media cinesi e oltre 100mila su YouTube. Ai più il suo nome dice poco o nulla. Ma la ragazza è nota a Pechino per il suo impegno a raccontare una Cina “amabile” come da lei spiegato nel 2021 alla World Internet Conference, l’evento organizzato dal governo cinese per discutere le politiche globali del cyberspazio. Contattata da Today.it per parlare della sua esperienza come content creator straniera nel paese asiatico, la vlogger italiana non ha risposto.
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Come arriva a noi la sottile propaganda cinese
I suoi profili social sono ricchi di contenuti in cui non mancano elogi alla vita e all’economia della Cina, grazie alle politiche del Partito comunista cinese. Lo stesso che punta a sfruttare la capacità digitali e comunicative di numerosi giovani stranieri per raccontare la Cina in chiave positiva. Offuscare la linea tra contenuto e propaganda non è una novità in Cina: da tempo la Repubblica popolare usa i social network per fare arrivare la propaganda filo-cinese agli utenti occidentali attraverso le piattaforme bannate entro i confini della Grande Muraglia. Secondo un recente rapporto di Meta – la società madre di Facebook e Instagram – la Cina usa i social media per manipolare le idee e convizioni delle persone di altri Paesi sul gigante asiatico: l’azienda statunitense ha eliminato cinque reti cinesi di account falsi nel 2023, più di quanto fatto negli ultimi quattro anni, quando Meta cancellò un’organizzazione propagandistica con sede in Cina. Le campagne cinesi sventate da Meta avevano come scopo quello di raggiungere gli utenti dell’Africa sub-sahariana, Asia centrale, Europa e degli Stati Uniti.
Così la propaganda di Pechino alimenta l’antisemitismo mentre promette la pace
Le operazioni cinesi si diversificano nella loro modalità, ma hanno tutte un obiettivo condiviso: promuovere gli interessi cinesi e la tutela dei diritti umani (secondo standard di Pechino) dall’attacco dei governi occidentali. Ad aiutare il Partito comunista sono proprio gli stranieri, considerati – in base alle esigenze – una minaccia o un’opportunità per Pechino. Sono una minaccia i giornalisti stranieri, per esempio, che raccontano ciò che Pechino non vuole esca dai confini cinesi. Sono una risorsa, invece, i vlogger che fanno da cassa di risonanza al Partito. Alcuni dei loro nomi sono finiti in un recente rapporto del think tank Australian strategic policy institute, che mostra come la Cina stia coltivando influencer stranieri “che sostengono le narrazioni pro Partito comunista sia in Cina che sulle piattaforme social globali”, si legge nello studio “Cantare lo spartito del Pcc”.
Tra i nomi che compaiono nel report c’è quello di Rachele Longhi: una dei 120 creatori di contenuti digitali analizzati dal centro studi australiano. Gli influencer stranieri svolgono quindi una doppia funzione: servono a presentare al pubblico cinese un’immagine di una Cina forte, potente, unita e inclusiva (persino con le comunità tibetane e uigure da anni soggette a violazione dei diritti umani), e a riproporre all’audience straniera la cosiddetta “melodia principale” del Partito, cioè i temi che promuovono i valori, le politiche e l’ideologia del Partito.
Attenzione però. Gli influncer non sono assunti ufficialmente per entrare nei ranghi del sistema di propaganda, ma vengono notati tramite competizioni istituite dai diversi organi del Partito, dove poter ottenere anche dei premi monetari. “Pechino ha creato un ecosistema di informazione che di fatto controlla tutto quello che può e non può essere detto, che elimina chi osa criticare, ma soprattutto che premia chi aderisce più apertamente alle politiche del Partito”, spiega a Today.it Daria Impiombato, una delle autrici del report, assieme a Fergus Ryan e Matt Knight.
Questo perché nella Repubblica popolare, l’ecosistema dell’informazione è orientato all’eliminazione delle narrazioni rivali e alla promozione di un’immagine positiva della Cina, in particolare su temi spinosi e controversi come la pandemia di Covid-19, le tensioni politiche, ideologiche e tecnologiche con gli Stati Uniti e la violazione dei diritti umani in Xinjiang, Tibet e Hong Kong. I contenuti degli influencer stranieri e quelli dei lavoratori dei media di Stato cinese rientrano in un sistema coordinato e denominato “comunicazione polifonica”. I concorsi video organizzati dagli organi di propaganda e l’amplificazione resa dai media statali e dai portavoce del governo alimentano ulteriormente questo fenomeno. Un esempio concreto arriva dal periodo della pandemia di Covid, quando Hua Chunying, portavoce del ministro degli Esteri cinese, aveva diffuso una fake news sul suo profilo Twitter per affermare che gli italiani si erano affacciati ai balconi per cantare l’inno cinese e ringraziare la Cina per gli aiuti sanitari ricevuti nel marzo 2020.
Amid the Chinese anthem playing out in Rome, Italians chanted “Grazie, Cina!”. In this community with a shared future, we share weal and woe together. pic.twitter.com/HYwrheCUEo
— Hua Chunying 华春莹 (@SpokespersonCHN) March 15, 2020
Pechino aspira a creare quindi un coro di voci unificato in grado di affermare le narrazioni del Partito in modo più efficace rispetto ai tradizionali media ufficiali. In cambio, gli influencer stranieri vedono la loro carriera – che di per sé può essere molto lucrativa – prendere il volo. “Il sistema propagandistico del Partito in Cina fa sì che ci siano anche degli altri incentivi sociali, come essere invitati a eventi ufficiali o apparire nei media ufficiali del Partito”, precisa Impiombato.
Le sessioni di formazione negli “influencer studios”
Gli autori del rapporto hanno individuato gli influencer che spingono la propaganda di Pechino tramite diversi metodi, come la ricerca di parole chiave sulle più comuni piattaforme cinesi di video-sharing online, come Bilibili, Douyin, Xigua e Toutiao. Ci sono quindi diversi elementi che accomunano la narrazione degli influencer stranieri, che seguono delle indicazioni per i contenuti da realizzare. “Le direttive sono impartite in tanti modi, in primis tramite leggi e regolamenti del sistema informativo, tramite comunicati ufficiali e documenti pubblicati dagli organi del Partito, ma anche dalle piattaforme stesse che regolano i contenuti in base alle direttive del Partito”, afferma l’analista dell’Aspi facendo riferimento a quell’insieme di norme emanato dal governo di Pechino sul cyberspazio cinese, per costruire un ecosistema informativo isolato dal resto del mondo e alimentato da un’ideologia nazionalistica.
“Conte e Salvini ci avevano resi una pedina della Cina, uscire dalla Via della Seta non basta”
Ci sono poi dei percorsi più dettagliati per apprendere l’arte della sottile propaganda cinese: il think tank australiano ha documentato la nascita di “influencer studios” multilingue, cioè delle fabbriche di propaganda che incubano sia influencer cinesi che stranieri per offrire una formazione più specifica. Dove apprendere come e cosa si può dire e quale tema evitare. Insomma, gli influencer devono conoscere quale sia la “linea rossa” da non superare. “Le tematiche più spinose sicuramente riguardano i diritti umani, come ad esempio la situazione in Xinjiang e Tibet, ma ce ne sono fin troppe da elencare e continuano ad aumentare”, chiosa Impiombato. E per evitare conseguenze indesiderate, molti, “come l’italiana Longhi, ripetono letterelamente le frasi di Xi Jinping”, precisa l’autrice del testo. Quindi gli influencer devono muoversi entro specifici confini, se non vogliono trovarsi a dover gestire la censura del Partito, l’ondata di commenti negativi dei nazionalisti o, peggio, la fine della loro carriera digitale.
Non solo cinese: gli influencer che parlano a chiunque
L’efficacia di questa strategia propagandistica è dimostrata dalla potenza della diffusione del messaggio al di fuori dei confini cinesi. Gli influencer, spesso, non si rivolgono al pubblico solo in lingua cinese ma anche nel loro idioma natale. È per esempio il caso della coppia messicana Maximiliano J Carrera Camacho e Noelia Rodriguez Pascual, che gestisce l’account YouTube “Mexicanos en China” (Messicani in Cina) da circa otto milioni di follower: il loro canale è il sesto più popolare in Messico, secondo Forbes Mexico. I due coniugi – che hanno celebrato, ripreso e diffuso sui social il loro matrimonio in Cina – si rivolgono ai follower in spagnolo, in modo da abbattere le barriere linguistiche poste dalla lingua cinese. In questo modo, la coppia di vlogger messicana diventa il megafono di una propaganda che difficilmente arriverebbe nel Paese dell’America Latina.
L’influencer italiana che racconta la “vera” Cina
Il percorso di questi influencer inizia in modo del tutto casuale. Come è accaduto alla vlogger italiana Rachele Longhi, che è diventata una delle influencer straniere più apprezzate nel panorama internazionale. Ruili, come è nota in cinese la ragazza italiana, è approdata in Cina come studentessa. In un’intervista con i media cinesi, Longhi ha raccontato di aver pubblicato un primo video sulla situazione Covid in Cina per poi trovare l’interesse a creare contenuti che mostrassero quella che secondo lei è “la vera Cina” incompresa dagli stranieri, racconta Impiombato.
I suoi account – che gestisce con il suo partner He Junjie, o “Luca”, vantano un totale di poco meno di 3,7 milioni di follower sulle piattaforme cinesi e occidentali. Su Bilibili, ad esempio, ha più di 422mila fan, su Douyin più di 1,6 milioni di follower; 1,6 milioni su Xigua, oltre 51mila su TikTok e più di 110mila su YouTube. Longhi nei suoi video parla principalmente cinese e per arrivare a un pubblico più ampio ha inserito i sottotitoli in lingua inglese e in italiano. La sua popolarità e le sue competenze linguistiche non sono passate inosservate, tanto che è diventata un’ospite dei video di China Matters, un canale YouTube che si presenta come una fonte di notizie e analisi sull’economia, politica ed esercito della Cina. Alcuni degli stranieri che compaiono nei video di China Matters, come Rachele Longhi, vengono presentati come viaggiatori indipendenti, giornalisti o semplici cittadini cinesi, ma di fatto lavorano per diverse organizzazioni statali della Repubblica popolare.
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Perché è importante conoscere gli strumenti della propaganda
Da quando i social network sono diventati per l’opinione pubblica uno strumento di rappresentazione e interpretazione dei problemi della società, è diventato più sottile il confine tra voci indipendenti e chi si pone al gioco propandistico di un governo. Soprattutto se quest’ultimo non spicca per il rispetto di democrazia, libertà e universalità dei diritti umani. Il rapporto del think tank australiano evidenzia quanto sia importante conoscere come la Cina faccia ricorso al soft power, il concetto che descrive la capacità di influenzare le preferenze degli altri per produrre i risultati politici desiderati. Tanto che il termine soft power è entrato anche nel discorso programmatico al 17esimo Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese del 15 ottobre 2007, quando l’allora presidente Hu Jintao aveva affermato che il Partito deve “rafforzare la cultura come parte del soft power del nostro Paese per garantire meglio i diritti e gli interessi culturali fondamentali del popolo” cinese. E il soft power, nella sua pervasività, viene utilizzato a seconda degli interessi di Pechino attraverso i social media e gli influencer stranieri.
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Fonte : Today