Indiana Jones e il quadrante del destino. Il regista spiega il finale del film

Quando si ha la possibilità di sorprendere lo spettatore, meglio essere coraggiosi che prevedibili. James Mangold ha seguito l’istinto ed ha attinto alla sua conoscenza dei film di Indiana Jones per ideare la storia di Indiana Jones e il quadrante del destino, film di cui è stato regista ma anche co-sceneggiatore.
Mangold è tornato sulla pellicola che è stata presentata in anteprima mondiale al Festival di Cannes lo scorso maggio in occasione della sua uscita in Blu-ray e Ultra HD 4K e del suo debutto in streaming, su Disney + dal 15 dicembre, visibile anche su Sky e Now.
In un’intervista per Cinemablend lo statunitense ha spiegato perché nel finale del film il dottor Jones torna ai giorni nostri invece di restare nel passato, come probabilmente lui avrebbe desiderato.

Il viaggio nel passato col quadrante di Archimede

A distanza di qualche mese dall’uscita nelle sale di Indiana Jones 5, il titolo che chiude la saga pluridecennale dell’archeologo più famoso del cinema, il regista James Mangold parla apertamente dei dettagli del finale della pellicola, certo di non rovinare la visione a chi sta per riassaporare le emozioni del film d’avventura da casa.
Il regista si è addentrato nel processo di scrittura che lo ha portato a decidere il finale della storia, un epilogo che per lui non doveva essere scontato.
Nel film, che mette al centro il tema del tempo e la possibilità di viaggiare attraverso di esso per mezzo del quadrante di Archimede, l’Antikythera, la cosa più logica era un ritorno nella Germania nazista, cosa che di fatto accade ma nel lungo flashback iniziale da cui apprendiamo che tra il protagonista e lo scienziato Jürgen Voller (interpretato da Mads Mikkelsen) ci sono dei conti in sospeso.
Per l’autore, portare in scena un eroe che torna indietro nel tempo per fermare i piani e cambiare il corso della storia (quindi, fermare la Germania nazista nel 1938) era ciò che il pubblico si sarebbe aspettato.
Data la possibilità di tornare indietro nel tempo, perché non alzare la posta e mettere il protagonista davanti alle domande (e alle scelte) più importanti della sua vita?

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Il finale coraggioso: Indy affronta sé stesso

James Mangold, nelle sequenze fantastiche che precedono l’epilogo, per un errore del villain Voller, fa piombare Indiana/Harrison Ford ed Helena/Phoebe Waller-Bridge nell’Italia del 213 a.C., a Siracusa, nel momento storico più affascinante per l’archeologo che ha studiato i misteri dell’antichità per tutta la sua esistenza.
Visti i tormenti che sta affrontando nel presente – la morte del figlio e la separazione dalla moglie, nonché la consapevolezza di appartenere a un’epoca passata – l’eroe preferirebbe di gran lunga restare in quella dimensione spazio-temporale, mettendo fine alla sua storia in maniera tragica e romantica.
Tuttavia, la decisione di ritrovarlo nel presente, circondato dall’affetto dei suoi cari e spinto a mettere insieme i cocci della sua vita, è una decisione ben più coraggiosa che al regista e sceneggiatore è sembrata più interessante.
Mangold non ha accettato che il quinto film terminasse con un evento soprannaturale, una trovata che è comune ai precedenti della saga. Niente “effetto Morte Nera”, dice il regista, citando un espediente ricorrente nella saga di Star Wars. Questa volta non ci sono alieni col teschio di cristallo, né fantasmi che escono da un’arca: Indiana Jones deve affrontare a viso aperto le sue paure e, con questo finale, mette insieme tanti motivi che hanno caratterizzato la storia del suo personaggio. Per l’autore, non poteva esserci conclusione migliore o, comunque, più coerente per l’archeologo che, all’epoca delle riprese, aveva settantanove anni.

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Fonte : Sky Tg24